Tutti i vini del Papa

Il trattatello di Giacomo Profetto, archiatra papale

Un viaggiatore un po' beone che si fosse messo in viaggio dalle Alpi alla Sicilia nel tardo Medioevo o nel Rinascimento, avrebbe avuto la possibilità di gustare un vino diverso per ogni paese o città visitata e alla fine avrebbe perso il conto delle varietà di vino bevute. E non solo nel Rinascimento: ancora, alla metà dell''800, qualcuno si lamentava che i nostri vini, che non avevano proprio nulla da invidiare a quelli francesi per qualità, erano troppi e non riuscivano per lo più a varcare gli angusti ambiti territoriali dove venivano prodotti. Per questo ancora oggi, in Italia, abbiamo centinaia di ottimi vini di cui molti, a torto, poco conosciuti o addirittura ignorati dal mercato interno ed internazionale. 

Pensiamo alle varietà dei vini ricavati dalla sola uva sangiovese, che dalla Romagna scende in Toscana, in Umbria e nelle Marche trasformandosi in Chianti, Brunello, Morellino, Torgiano, Montefalco e almeno un’altra ventina di vini rossi, ognuno con le sue caratteristiche inconfondibili ed ognuno con la sua diversa personalità. Lo stesso vale per il Trebbiano o per la Malvasia: senza contare i vitigni autoctoni, come quello della Ribolla gialla del Collio Goriziano e del Friuli orientale, che nel Quattrocento produceva il vino preferito dai nobili castellani d'oltralpe. 

E se il viaggiatore fosse stato un Papa? 

Papa Paolo III Farnese

Paolo III Farnese ce lo ricordiamo spesso come uno sfrenato nepotista e un impenitente donnaiolo: nondimeno fu il papa che indisse il Concilio di Trento, che istituì la Compagnia del Gesù di Ignazio di Loyola, che si sforzò di evangelizzare il Nuovo Mondo, oltreché politico saggio e grande mecenate: insomma fu uno dei grandi papi del Rinascimento. Un papa che viaggiò molto, per motivi politici più che pastorali, e che quindi ebbe occasione di assaggiare molti vini, assieme alla sua corte di nobili e famigli che lo seguivano e lo servivano nei suoi spostamenti. Famigli per modo di dire: alla sua mensa sovrintendeva Bartolomeo Scappi, uno dei maggiori maestri di cucina dell’epoca, mentre il suo bottigliere, ovvero quello che pensava alla varietà e alla qualità dei vini da servire era Sante Lancerio, di cui abbiamo poche notizie biografiche, ma di cui rimane una lettera, indirizzata al cardinale Guido Ascanio Sforza, dove si elencano tutti i vini serviti al papa, ognuno con una descrizione accurata delle loro caratteristiche organolettiche e della zona e del tipo di produzione. Una lunga e articolata lettera, perché il nostro Paolo III non riusciva proprio a rinunciare ai piaceri della tavola, ai pastelli confezionati con la carne dei cinghiali di Corto, ai melaranci di Capodimonte e soprattutto al buon vino. E Lancerio cercava di soddisfarlo al meglio, registrando poi puntualmente ogni bevuta oppure indicando quando il papa usava il vino come collirio o addirittura quando ci si faceva un semicupio. Purché fosse eccellente, ovviamente: 

 Il Greco di Somma viene alla Ripa Romana dal Regno di Napoli, dalla montagna di Somma, distante da Napoli XII miglia. Questi sono vini molto fumosi et possenti, et a tutto pasto si potriano bere, ma offendono troppo il celabro massime alli principii, ma ci sono delli stomachevoli et non fumosi et odoriferi. A volere conoscere la loro perfettione bisogna siano non fumosi, et vogliono havere colore dorato, stomachevole et odorifero. Tal vino ama assai la chiara, più che altra sorta di vino. 
Sua Santità usava di continuo beverne ad ogni pasto, per una o per due volte, quando era nella sua perfettione et anchora ne voleva nelli suoi viaggi. Si perchè tale vino non pate il travaglio, sì perchè ne voleva per bagnarsi gli occhi ogni mattina, et anco per bagnarsi le parti virili, ma voleva che fosse di 6 od 8 anni, che era più perfetto. 

Mentre il Lancerio contribuiva alla soddisfazione dei gusti pontificali, alla salute del Farnese ci pensavano i medici ed in particolare l’archiatra papale, al tempo un medico e filosofo siciliano: Giacomo Profetto. Profetto era originario di Noto e dopo gli studi era passato a Napoli per insegnare medicina e filosofia e quindi era stato chiamato a Roma nel 1534, lo stesso anno dell'elezione a pontefice di Alessandro Farnese. Frequentatore dei filosofi romani del tempo, aristotelico convinto, viene ricordato dai suoi amici per un trattato sulla proprietà delle acque, insomma un libro sulle acque minerali e termali, purtroppo perduto, e di un trattatello sul vino. Trattatello quanto mai adatto alla Corte, come abbiamo visto. 

Nel suo lavoro Profetto condensa tutte le cognizioni sul vino che erano state prodotte sino a quel momento, principalmente di tipo medico ma anche letterarie, storiche e geografiche sui molti vini allora conosciuti e su quelli descritti dagli autori del passato, Plinio in testa. Il tutto in forma di dialogo tra quattro personaggi, due medici e due filosofi. Ne nasce un’operetta molto gustosa, forse un po’ troppo scolastica rispetto al suo tempo - l’opera viene pubblicata, dopo essere circolata manoscritta per oltre un decennio, nel 1559, ovvero quindici anni dopo la prima edizione dei Commenti a Dioscoride del Mattioli, opera naturalistico - medica rivoluzionaria e moderna – ma nondimeno perfettamente godibile. Tra l’altro, alla domanda sul perché i vini siano così diversi tra loro (pensiamo a quanto abbiamo detto poco fa sul sangiovese) la risposta di Profetto, facendo un parallelo tra le proprietà del vino e quelle dell’acqua sorgiva, ci suggerisce un’originale prospettiva sul rapporto tra vino e salute:

[il vino] in ogni regione cambia molto la proprietà a seconda dei luoghi, del terreno e del sito, ragion per cui le stesse viti, piantate in terreni differenti, producono un vino differente. In tal senso ci sono diversi tipi di acqua, che hanno preso le loro differenti proprietà dai terreni dai quali abbondantemente scaturiscono, per cui alcune hanno il gusto di allume, altre sono amare, oppure sono salate, sulfuree, fredde, calde, alcune fanno bene agli occhi, altre ai nervi, altre curano perfettamente morbi cronici e quasi disperati […]. Alla stessa stregua ci sono diverse nature dei tipi di vino e questo a partire dall'umore della terra che è stato assorbito dalla vite. Infatti la vite per sua natura prende l'umore che le arriva dalla terra, per cui la natura di un certo vino è diversa da un altro ed essa si valuta in parte dal gusto e in parte dagli effetti. Un vino è di sapore gradevole e dolce, un altro duro, aspro, amaro, un altro forte, un altro insipido e acquoso, e non solo per colore e corpo ma anche risulta di gusto diverso. Infatti, come il vino ha varie differenze di sapore, così ha proprietà e qualità diverse.

Insomma un libretto prezioso per chi vuole capire il rapporti tra vino e sanità del corpo nel corso del Medioevo e del Rinascimento ma anche una piacevole lettura per chi ama le “curiosità letterarie".

Il trattato “Sulla natura dei diversi tipi di vino” di Giacomo Profetto è stato pubblicato pochi giorni fa per i tipi di Leo S. Olschki editore, con una prefazione di Lucio Coco, piuttosto generica ma puntuale, a parte la bibliografia onestamente inconsistente. Comunque, la traduzione è ottima, vivace e di facile fruibilità. Da leggere.

Prosit! 

 

 

 

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