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Studenti di medicina
Riflessioni minime su un mestiere difficile

Sto riordinando faticosamente la libreria dello studio e sto eliminando via via interi pacchi di carte che si sono accumulati nel tempo. Uno di questi pacchi, che ho già digitalizzato perché non si sa mai, è quello degli elaborati dell’esame di storia della medicina. Facoltà di medicina, primo anno di corso, appello autunnale. Condivido con voi gli incipit dei primi tre.
Andrea Vesalio […] è considerato il padre dell’anatomia moderna e autore del testo «Fabrica». Fu anche il primo a praticare la dissezione dei corpi defunti, con lo scopo di studiare la composizione interna umana. Non venne mai tentata nel medioevo perché tale atto era considerato un reato e dissacrante per l’anima del defunto e per i familiari.
Taddeo Alderotti […] scrive il consilum una raccolta delle sue esperienze dove ribadisce anche l’importanza del pagamento della figura del medico a 360° gradi (cavallo, alloggio…).
Lo studio teorico della medicina, stimolato anche dalla cultura ebraica e bizzantina (sic!). Questo nuovo interesse porto (sic!) alla nascita delle scuole mediche come quella a Salerno. Queste scuole portarono a combinarsi le culture galeniche a quelle arabe.
Vi risparmio gli altri: sono duecentocinquanta studenti, anche se il livello ogni tanto migliora. Comunque sia, tutti e tre vengono dal liceo scientifico e tutti e tre hanno passato il test di ingresso a medicina. E tutti e tre, a meno di infortuni gravissimi, termineranno il corso di studi. Scrivendo in stampatello, come gli autori del secondo e terzo elaborato che vi ho mostrato. Una di questi, tra l’altro, a fronte del risultato, mi ha scritto:
Per la mia sorpresa, sono risultata insufficiente malgrado fossi rimasta con l’impressione di aver fatto bene, anche perché ho studiato.
Che cosa rispondere? Che hanno ragione loro: sono stati selezionati, quindi sono meglio degli altri, figuriamoci. E poi se abolissimo il numero programmato e quindi il test di ingresso per fare una vera selezione nel tempo non ci sarebbero abbastanza posti nelle aule, visto che per medicina c’è l’obbligo di frequenza. E poi c’è bisogno di medici: non di medici bravi, non di campioni della deduzione diagnostica, ma semplicemente di medici. E poi, tanto, prima di diventare “davvero” un medico devi passare sei anni di corso più cinque di specializzazione, totale undici anni. Col tempo e colla paglia si maturano le sorbe e la canaglia, si diceva un tempo. Aspetteremo. Magari questi ragazzi impareranno a leggere, a scrivere e a fare di conto: piano piano, con gli anni.
Era il novembre del ’72 quando arrivai a Siena per studiare medicina. Quell’anno ci iscrivemmo in settecentoventi. Se uno voleva andare a lezione si doveva alzare presto, ma dato che non c’era l’obbligo di frequenza, si riusciva a campare e soprattutto si sceglievano gli insegnamenti più interessanti. All’esame non c’erano sconti, il libretti volavano dalle finestre, c’erano scene di vero teatro, ma sapevamo che quello era il gioco, e si studiava. Sui libri. Anche perché non c’erano i registratori portatili e men che meno le lezioni online. Il secondo anno eravamo rimasti in trecento, più o meno. Ci siamo laureati, in prima sessione, in due. Io ho frequentato circa il 20% delle lezioni e nonostante questo mi sono laureato con lode, bacio accademico e anello. E non sono un genio, ovviamente. Studiavo, frequentavo l’ospedale e poi suonavo, uscivo la sera con gli amici a divertirmi, non mi perdevo un concerto o uno spettacolo teatrale, insomma vivevo la mia età. E a ventiquattro anni, poco dopo essermi laureato, giravo di notte le campagne di un paesello maremmano come medico di guardia, curando scompensi cardiaci, coliche renali e ricucendo ferite da attrezzi agricoli perché la gente non voleva andare in ospedale e quindi si aspettava che risolvessi io il problema. E, fortunatamente, non ho mai mandato nessuno al Creatore. E non ho mai fatto una diagnosi per telefono. E non ero, ovviamente, l’unico.
Certo, all’epoca ti chiamavano dottore, qualcuno insisteva perché, quale ringraziamento per il disturbo, tu accettassi un cognacchino prima di ripartire, alle sei del mattino. Soprattutto dicevano grazie. Adesso ti minacciano di denuncia se al pargolo non gli fai passare subito il mal di pancia, per cui la prima cosa che oggi impari, già da studente, è quella di pararti le terga e demandare: eh, signora mia, qui ci vuole una risonanza, una ecografia speciale, nuove analisi del sangue, magari un ricovero breve. Insomma il minimo risultato col minimo errore, a parte le eccezioni, ovviamente, ma che non sono molto frequenti.
La medicina è una disciplina pragmatica e non una vera scienza, come ci insegna la storia, e si adatta alla società in cui opera. Per cui questa nostra medicina ed il suo insegnamento è lo specchio di questa società, nel bene e nel male: in potenza potrebbe funzionare benissimo, grazie anche allo sviluppo prodigioso delle sue scienze satelliti e dei nuovi strumenti didattici e informativi, ma in pratica fa quello che può perché è legata al destino e al potere di molteplici attori. Il medico (assieme agli altri operatori della sanità) è solo uno di questi e forse il meno potente rispetto ad amministratori, politici, giornalisti, opinionisti, magistrati, industria, financo propugnatori di ideologie le più varie e bizzarre. Fortunatamente, come ogni tanto dico per celia, c’è la vis sanatrix naturae che ci dà una mano e, più seriamente, una lunga, buona e radicata tradizione medica per cui riusciamo, nonostante tutto e perlomeno in Italia, ad avere un sanità mediamente buona e accessibile a tutti. Per ora.
Però questi ragazzi mi fanno molta tenerezza. Costretti a sostenere una miriade di esami, a frequentare lezioni ed esercitazioni praticamente tutto il giorno, a sbobinare lezioni perché non sanno, molti di loro, apprendere da un libro, a non avere una vera vita, a vent’anni. Una studentessa a cui facevo da correlatore mi confessò, tempo fa, che da anni non aveva tempo di fare altro che studiare e che non aveva neanche un moroso. Questi ragazzi, tra l’altro, non sanno neanche cosa riserverà loro il futuro. Io provo a prepararli, il primo giorno di lezione, parlando del rapporto fra medicina e società e li avverto che ci sono buone probabilità che fra pochi anni, prima addirittura del termine del loro corso di laurea, il medico venga sostituito da un biologo e da un sistema intelligente (per carità, non è un offesa per i biologi!), insomma dall’Intelligenza Artificiale. Non è fantascienza: anch’io ho dato il mio piccolo contributo a far sì che questo avvenga.
A meno che il medico non ribadisca ancora una volta e chiaramente il suo ruolo culturale centrale nell’ambito della salute: un ruolo storico e imprescindibile. Ma la vedo dura: una macchina costa meno e rompe meno le scatole alle Amministrazioni. E poi, cos’è la cultura?
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