Re Lear e la velocità

Forse, ogni tanto, tre ore di pausa valgono la pena.

Mercoledì scorso sono andato a teatro a vedere Re Lear di Shakespeare, in un allestimento della Compagnia dell’Elfo, con Elio de Capitani. Uno spettacolo potente, un Re Lear quasi amletico e molto convincente, una traduzione efficace e interessante. Grande teatro in un teatro fisico, quello di Monfalcone, disperatamente semivuoto. Il cartello nel foyer annunciava “durata dello spettacolo: 180 minuti più intervallo”. Un deterrente efficacissimo. Per gli spettacoli precedenti, con Bisio o Pannofino, il teatro era stracolmo. Se mi chiedete se mi sono divertito a quegli spettacoli, vi rispondo di sì. Se poi volete sapere se mi ricordo qualcosa, ci devo pensare. Erano spettacoli teatrali con i tempi televisivi, da attenzione mordi e fuggi. E poi cinquanta minuti, un’ora al massimo e tutti a casa. Senza intervallo. La durata di una lezione a scuola. Del Re Lear, tre ore passate in un attimo immersi in quel dramma senza tempo, mi ricordo tutto, come mi ricordo di un allestimento di Personaggi in cerca d’autore di Pirandello due anni fa, o delle Baccanti di Euripide al teatro etrusco-romano di Roselle, molti anni fa. Teatro “classico” con i suoi tempi, a misura di spirito. 

I teatri d’opera, da qualche tempo, tendono ad abolire gli intervalli tra un atto e un altro: e per fortuna non si può tagliare la musica più di tanto, altrimenti avremmo dei bignami del Tristan un Isolde o del Nabucco. Insomma, deve andare tutto veloce e non bisogna rischiare di annoiare il pubblico. Un mio caro amico concertista mi raccontava che gli organizzatori gli chiedono spesso di non superare i cinquanta minuti di performance, perché la gente non è abituata ad ascoltare a lungo. Quando facevo musica medievale, nel millennio precedente, organizzavamo spettacoli di un paio d’ore con l’intervallo. Ed era la prassi. Mi ricordo concerti al Teatro dei Rinnovati di Siena, negli anni ‘70, dove la quinta sinfonia di Beethoven occupava il secondo tempo, mentre nel primo c’era un grande concerto con solista e un pezzo sinfonico breve.  Oggi non più. 

Non parliamo poi dei libri, che sono sempre di più oggetti per addetti ai lavori. Parlo di libri seri, non del libello dell’ultimo/a comico/a televisivo/a o del racconto lungo del grande scrittore inserito nel giro dell’amichettismo politico. I veri romanzi sono letture impegnative, anche se affascinanti, perché richiedono concentrazione e immedesimazione. Oddio, occorre anche saper leggere, nel senso di non aver perso la consuetudine della comprensione del testo scritto, ma questa è un’altra storia. La grande letteratura, poi, è scomoda da usufruire anche in audiolibro: ti immagini se ho tempo di stare ore ad ascoltare Guerra e Pace, che poi dopo tre ore non l’ho finito e mi sono già scordato le puntate precedenti, che le danno senza riassunto. 

Una cosa mi diverte molto: avete notato che spesso i giornali online mettono all’inizio il tempo necessario a leggere l’articolo? A che serve, se non a rassicurare il lettore sulla sua brevità? Tanto, salvo eccezioni, il contenuto è sempre abbastanza standard, ma almeno si perde poco tempo a leggerlo. 

Non capitemi male: io non sono per la società lenta. Per quella battaglia bastano e avanzano gli intellettuali inventori dello slow  che da una parte non hanno contribuito granché al miglioramento della società mentre dall'altra, come nel caso del cibo (che loro chiamano food) hanno contribuito a dare il via alla moda plebea dello chef stellato. Plebea perché un tempo il nobile poteva far bastonare il cuoco dai propri servi quando gli ammanniva una cazzata spacciata per delizia, mentre oggi, perduta l’usanza, lo si incensa in televisione. Lo chef, non il nobile. 

La società è quel che è e dopo la rivoluzione industriale, la rivoluzione fordista, la rivoluzione digitale e via trascorrendo, non vorrete mica tornare indietro all’Ancien Régime, vero? Bisogna andare spediti, ed è indubbiamente una cosa spesso appagante. Ma dove? Beh, se ogni tanto rallenti un poco magari lo capisci. Magari ti fermi tre ore a teatro a rinfrancare lo spirito e dopo puoi ricominciare a correre, magari più tranquillo e felice. 

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