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Peste, vaccini ed economisti
Pensando alla sorellina di Niccolò Paganini

Chi si interessa di storia della medicina e delle malattie non può prescindere dallo studio della Peste Nera, che si affacciò disastrosamente in Europa all’epoca di Giustiniano complicando, specialmente in Italia, i problemi sociali e demografici già precari dopo vent’anni di Guerre Gotiche, e poi nel 1347 / 48 decretando, di fatto, la fine di un certo mondo medievale proiettando la società sopravvissuta al morbo verso tempi nuovi e diversi. Non voglio dire che non avremmo avuto il Rinascimento italiano senza la peste, ma è una domanda che ci dovremmo comunque porre. Perché i morbi cambiano la storia, come ci insegna William H. McNeill. Per esempio il vaiolo e il morbillo, sconosciuti nel mondo occidentale, misero in crisi l’Impero Romano proprio durante il suo secolo d’oro, contribuendo così al suo declino. Altrettanto fecero il vaiolo e le altre malattie infettive “occidentali” sugli imperi centro americani. Gli esempi potrebbero essere ancora molti: si pensi ad esempio all’importazione della sifilide nelle isole del Pacifico da parte dei marinai inglesi al tempo di Cook.
La peste è rimasta un ricordo indelebile nel mondo occidentale: un morbo spaventoso che, almeno per quanto riguarda la sua apparizione alla metà del XIV secolo aveva, nei centri urbani, una mortalità probabilmente di molto superiore al cinquanta per cento. Cataste di cadaveri da seppellire in fosse comuni coperte da poca terra, come ci raccontano i cronisti dell’epoca, con i cani che le rovistavano la notte in cerca di cibo. Un orrore che è rimasto indelebile nella memoria e nella storia dell’arte. Il Cristo ieratico crocifisso dei secoli precedenti lascia il posto ad un Crocifisso contorto, sofferente, con il sangue che sprizza dal costato aperto, talvolta con il corpo coperto di pustole. Le pietre tombali adesso possono rappresentare senza scandalo non più un morto rappresentato dormiente in attesa del Giudizio, ma addirittura un cadavere decomposto, dove vermi e rospi banchettano nel suo addome aperto.
Nonostante l’orrore e nonostante che i medici fossero del tutto impotenti verso questa malattia assolutamente nuova e “clinicamente” sconosciuta, le autorità pubbliche si organizzarono attraverso magistrature cittadine create appositamente contra pestilentiam: uno sforzo che dette presto i suoi frutti, tanto che la peste, che ritornerà ciclicamente almeno fino alla metà del '500, avrà un impatto sempre meno incisivo sia sulla società che sulla demografia. A parte la peste del 1640, quella descritta dal Manzoni, che ricominciò a colpire indiscriminatamente giovani e vecchi visto che erano circa sessant’anni che non si ripresentava e quindi si era persa la “memoria immunologica” di questo morbo. E comunque i lazzaretti, le quarantene, i “rastelli” e le patenti di sanità riuscirono in qualche modo, dove l’autorità pubblica poté efficacemente imporsi (insomma nell’Italia Centrosettentrionale), a limitare i danni. A chi interessi tutto questo e ha voglia di leggere può provare qui una sintesi storica. Altrimenti qui c’è un video.
Parlavamo poc’anzi di memoria immunologica: infatti la peste “antica”, al contrario della peste che conosciamo oggi, sostenuta dallo stesso batterio ma leggermente mutato, dava immunità. Tant’è vero che alcuni medici della fine del Trecento parlano della peste come di una malattia che colpisce principalmente i bambini. È lo stesso meccanismo che si instaura con le malattie infettive che danno immunità permanente come il morbillo, la rosolia, la pertosse, il vaiolo e così via, malattie pericolose ma oggi perlopiù limitate alla popolazione pediatrica non vaccinata. A parte il vaiolo che è stato eradicato a livello planetario nel 1980 grazie alla sistematica vaccinazione della popolazione sino nei luoghi più remoti del globo.
Quindi la peste, diventata una malattia ciclica prevalentemente pediatrica, non ebbe più un impatto così devastante sulla società occidentale, almeno dal XV secolo in poi. Anche perché la mortalità infantile all’ epoca era comunque altissima, con o senza peste, e questo a prescindere dal ceto sociale. I bambini morivano durante o poco dopo il parto, al momento dello svezzamento o portati via dalle malattie infettive. Per questo si dovevano fare molti figli per perpetuare, diremmo oggi, la specie. Tra parentesi, all’epoca si preferiva pensare di perpetuare la società, visto che l’uomo era visto, fortunatamente, non proprio un animale al pari degli altri. A parte i neonati abbandonati, che ancora nell’Italia postunitaria avevano una mortalità ancora maggiore: in alcune zone d’Italia pari al 98-99 per cento, tanto da fare equiparare almeno moralmente (e ci sono infuocate interpellanze di parlamentari dell'epoca, specialmente meridionali, dove il tributo in vite infantili era più alto, che sottolineavano la vergogna di questa situazione per un paese civile), l’abbandono all’infanticidio.
Le società del passato, quindi, non avevano una grande considerazione dei bambini piccoli perché sapevano bene che almeno un quarto di loro al di sotto dei quattro anni era destinato a perire. Poi venne Jenner con la sua intuizione geniale ed il suo siero vaccinale antivaioloso, nel '700. E poi nel secolo della rivoluzione industriale Pasteur, Koch, la nuova batteriologia e la produzione di vaccini anche contro entità patogene, come i virus, che non si vedevano al microscopio. Poi nel XX secolo la nascita dell’immunologia fino alle vaccinazioni obbligatorie che hanno praticamente azzerato morti orribili (chi si ricorda più del crup difteritico?) e più recentemente i danni e i reliquati delle encefaliti morbillose.
Oggi se un bambino muore alla nascita in ospedale pediatrico la Procura “apre un fascicolo” e le civette dei quotidiani urlano ai passanti con titoli cubitali. Sono cambiati i tempi, ed è cambiato, per noi tranquilli occidentali, il valore della vita umana. Per molti anche quella degli animali d’affezione. Per questo ci possiamo permettere di riprodurci poco o magari anche di discettare su sesso biologico o culturale, su incroci e fluidità. In epoche di mortalità infantile al 25% questa discussione sarebbe stata ridicola. Viviamo in una società fortunata, che avrà pure i suoi difetti, ma non tali da farci rimpiangere il passato.
Poi è arrivato il Covid a sparigliare le carte, e ci è andata parecchio bene perché aveva una mortalità piuttosto bassa. Ma era già successo: non parlo ovviamente della Spagnola, ma dell’epidemia Hong Kong del 1968 che mi ricordo benissimo perché andavo alle scuole superiori (a quei tempi si andava rigorosamente a piedi, pioggia, ghiaccio o terremoti a prescindere) e passavo ogni giorno davanti a un cartellone delle pubbliche affissioni che cominciò improvvisamente a riempirsi di manifesti funebri. Uno attaccato vicino all’altro. In paese morirono moltissime persone anziane, tanto che qualcuno disse (non so se per davvero o per scherzo) che l’impresario di pompe funebri, un simpaticissimo costruttore di bare ed esperto nel sistemare i paesani defunti nel locale cimitero con tutti gli onori e la minima spesa, aveva finito il legno per le bare. Poi mi ammalati anch’io ed è l’unica “influenza” che mi ricordo bene perché ebbi la febbre molto alta tanto che cominciai a delirare, e quando mi ripresi ricordo che i miei genitori stavano piangendo vicino al mio letto. Morirono in tanti, per quell’epidemia, ma d’altronde ne morivano tanti anche in miniera, al mio paese, per cui c’era una certa fatalistica rassegnazione e poi nessuno aveva dato un allarme o dato indicazioni di comportamento. Ma non c’era ancora l’edonismo della società post post fordista, fatta di bamboline che influenzano i gonzi, di “templi del proprio corpo” e di palestre frequentatissime (anche da me) perché vi voglio tutt* bell*, come si scrive adesso per non indignare nessuno. Oggi la morte del corpo è inaccettabile, come idea, per i più.
Il Covid, gestito all’inizio (ma d’altronde era lo stesso modello della Peste Nera, ovvero ignoto) come avrebbe fatto un solerte Magistrato fiorentino sopra la pestilenza, ha dimostrato che comunque si può morire di epidemia anche oggi. E meno male che ci sono stati i vaccini: che poi abbiano funzionato in tutto o in parte, che la politica vaccinale sia stata più o meno efficace, è una cosa da storici, non da opinionisti. Anche perché se continuiamo così, specialmente continuando a deforestare in Estremo Oriente o in Oceania, la prossima volta la mortalità di un nuovo virus sconosciuto potrebbe essere superiore a quella della Peste Nera. Tanto per dire. Per cui bisogna stare bene in guardia e migliorare l’unico presidio che abbiamo, a parte le regole igieniche comportamentali che però dovremmo seguire tutti, ovvero i vaccini. Questo però non viene creduto da alcuni soggetti che però credono ciecamente allo sciamano celtico di Roccasperduta o che hanno incrollabile fiducia nell’incorruttibilità naturale del proprio corpo che, orrore, potrebbe essere messa a rischio dall’industria farmaceutica globale. Pazienza. La sanità pubblica l’abbiamo inventata noi, in Italia (e se qualcuno mi dice che l’Italia Centrosettentrionale non era Italia perché era un mosaico di statarelli gli mando i padrini dopo avergli intimato di studiare) per cui possiamo anche fare in modo di lasciarli cuocere nel loro brodo (di coltura) purché non facciano danni. Ma i bambini non possiamo permetterci di perderli neanche se hanno la sfortuna di avere genitori novax, in una società che deve garantire libertà e incolumità a tutti o che perlomeno ci deve provare a farlo.

Un’idea: chiediamolo agli economisti! Ce ne sono un paio, specialisti di Italexit, di grande umiltà e onestà intellettuale, che potrebbero fare al caso nostro. Specialmente uno. Con lui i bambini possono davvero dormire sonni tranquilli: mal che vada potranno contribuire fattivamente ad incentivare il commercio delle piccole bare bianche, utile all’economia nazionale.
E poi, diciamolo onestamente, senza il contributo dell’encefalite morbillosa, non avremmo avuto il genio di un Paganini o di un Liszt, che sopravvissero miracolosamente ad una disastrosa epidemia di morbillo. Il piccolo Niccolò, a Genova, perse la sorellina e rischiò di essere seppellito vivo, perché fu dato per morto e preparato per la sepoltura. Si accorsero che era vivo un attimo prima di chiudere la bara. Se per assurdo, visto che eravamo alla fine del ‘700, Niccolò Paganini fosse stato vaccinato, non avremmo mai potuto ascoltare “Le streghe” o “La campanella”. Però magari la sorellina sarebbe potuta crescere felice, innamorarsi, magari diventare una grande cantante. Ma purtroppo non lo sapremo mai.
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