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Pagina quaranta
Breve discorso su un'alleata fedele

Certi libri li acquisto e li comincio a leggere perché magari hanno un titolo accattivante o una bella presentazione in quarta di copertina. Poi, qualche volta, a metà dell'introduzione se sono saggi, o se sono romanzi dopo qualche decina di pagine, un certo qualcosa dentro di me sussurra che forse è il caso di fare altro, e che non c'è motivo di soffrire così, gratis. Certo, i libri vanno letti, ponderati, criticati. Magari sofferti. Però dipende.
Tanto per fare un esempio personale recente, un libro di un economista della Luiss che parla di antropologia culturale e di letteratura italiana pseudo ecologista e che va inanellando luoghi comuni ogni mezza pagina, non vale il bruciore di stomaco. Perché, se volessi soffrire per espiare i miei peccati, indosserei il cilicio, rinuncerei alla carne e mi chiuderei in una spelonca, cercando di gollare cicerbita, come tentò invano il mio compaesano Bernardino Albizzeschi, poi da Siena e poi santo. E lui in queste cose era bravo. Infatti era secco come un chiodo. Tra l'altro ho avuto l'onore di portare il suo corpo imbalsamato, tanti anni fa, dalla chiesa di Santissima Annunziata in Duomo, a Siena, e mi sono reso conto, osservandolo attraverso il vetro dell’urna, che era identico al ritratto del Sassetta ed era così naturale che avrebbe potuto alzarsi, secco finito ma in gran forma, senza troppo stupore dei presenti. Ma sto divagando.
Un amico scrittore e matematico, che non vedo da tempo, aveva avuto un buon successo con una serie di romanzi pubblicati da Einaudi. Era il periodo in cui i matematici scrittori andavano molto di moda: ma almeno gran parte di loro sapeva scrivere bene e poi nella metà degli anni ‘90 la gente ancora leggeva e i premi letterari si assegnavano ancora abbastanza sulla bontà della letteratura e non sulla comprovata fede politica dell’autore. Infatti i matematici scrittori sono scomparsi e sono rimasti solo quelli impertinenti.
Il mio amico era appassionato di Mitteleuropa, ovvero di quel clima culturale che ha il Danubio come fiume di riferimento e che ha prodotto scrittori interessanti e guerre sanguinose. Personalmente, a parte qualche opera, non vado matto per quella letteratura, specie di quella italiana (non me ne voglia Claudio Magris, di cui riconosco il grande valore letterario, ma è ovviamente questione di gusti). La trovo «polverosa» come quando si rientra in una casa lasciata chiusa per anni, con le lenzuola bianche sui divani e la polvere del tempo dappertutto. Insomma, un genere con cui non mi trovo a mio agio.
È stato leggendo i romanzi del mio amico che ho scoperto il fenomeno della «pagina quaranta», che non avevo notato fino ad allora. Ovvero iniziare a leggere, arrivare intorno a pagina 40, alzarsi un attimo per bere un bicchier d'acqua o fare una breve telefonata e non aver più voglia di riaprire il libro.
In biblioteca ho diversi libri con un segnalibro a pagina 40. Sono lì che aspettano, pazientemente, di essere riconsiderati: qualcuno anche da qualche decennio. Ovviamente non sono solo libri di ispirazione mitteleuropea. Perché di libri «polverosi», dove spesso la nevrosi dei personaggi o dell'autore si insinua come un serpente nell'animo del lettore, ce ne sono molti. Dove mentre leggi senti che ti manca un po’ l'aria e che la luce della stanza sembra farsi un po’ più fosca. In questi casi la pagina quaranta è un'alleata preziosa, un’amica per la vita.
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