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Le scuse e la nemesi
Chiedere scusa è segno di debolezza (Jethro Leroy Gibbs – NCIS)

Sono d’accordo con i Padri Greci, con Basilio e con Massimo il Confessore: la colpa è personale e dipende esclusivamente dalla libertà concessaci da Dio e dall’uso che ne facciamo. Per cui sono stufo di essere accusato per cose che non ho commesso e che non ha neanche commesso mio padre o mio nonno. Ma anche se avessi avuto un padre infoibatore o repubblichino non avrei nulla su cui chiedere scusa: semmai avrebbe avuto da chiedere scusa lui.
Prendo per esempio un episodio avvenuto diversi anni fa ma che ancora mi disturba. Il fatto che il Tribunale contro l’eretica pravità, a que’ tempi, abbia condannato Galileo, non vuol dire che trecento anni dopo un papa gli debba chiedere scusa perché è in atto, in quel momento, un conflitto fede-scienza che si combatte per lo più su un piano grettamente politico dai marcellocini, dalle margheritehack e dai matematici impertinenti, tutti in coro sventolando “il manifesto” o “la repubblica” o le mutande di Umbero Eco, ma mai uno scritto galileiano. Che il papa chieda scusa a Galileo sono fatti suoi, ma se chiede scusa anche a nome mio non ci sto. Non ho ancora chiaro se, nella fattispecie, il Tribunale avesse ragione o meno: comunque questo non c’entra visto che personalmente, come uomo e come storico, posso solo registrare fatti accaduti, interpretarli ma non giudicarli. Ogni epoca ha i suoi metri di giudizio per cui se è veramente molto difficile, da un punto di vista storico, esprimere una linea di visione in qualche modo critica su alcuni avvenimenti remoti, non è certamente corretto usare il metro attuale (e poi quale metro?) per giudicare avvenimenti e politiche di tempi (o anche luoghi) diversi dai nostri. Altrimenti finiamo per fare danni e creare tribunali rispetto ai quali l’Inquisizione Romana diventa, come si dice dalle mie parti, una giacchettata: si pensi alla Stanford e alla cultura woke.
Vorrebbero addirittura che chiedessi scusa agli animali per averli mangiati da centomila anni, in nome di un anti-imperialismo specista: lo farò quando sarò pagato per far questo dalla lucrosa industria vegana, ormai legata alle multinazionali assieme alla bio e a quella “sudicia”. Alla fine sarò magari un furfante, ma almeno sarò ricco. Meglio ricco che malato di mente come gli anti-specisti duri e puri.
Non chiederò scusa al mio amico Piero per l’Olocausto, che non è colpa mia, ma farò in modo, per tutto ciò che mi compete, che non succeda più. Perché se succedesse di nuovo allora forse potrebbe essere anche colpa mia. Il forse è d’obbligo: non posso sentirmi in colpa per il genocidio dei Tutsi del 1994 o dei dei tre milioni di cambogiani uccisi dal regime di Pol Pot dal ‘75 al ‘79, nonostante fossi già laureato e quindi, a spanne, seziente.
Però c’è una nemesi: Giovanni Paolo II avrà pure chiesto scusa a Galileo, ma Benedetto XVI, suo successore, grazie ai marcellocini et similia, non ha potuto tenere un discorso alla Sapienza, fondata tra l’altro da Bonifacio VIII. Come per Papa Francesco: avrà pure chiesto scusa per le Crociate (pensa un po’), ma l’altro giorno all’Università di Torino concionava un imam (e per fortuna qualcuno del corpo universitario si è risentito, beccandosi dell’islamofobo). Il professore emerito Marcello Cini è morto da dodici anni, voi direte. Anche la Hack da undici. Ma ne restano ancora tanti: dov’erano stavolta?
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