La persona intelligente fa il clinico!

Era un detto di tanto tempo fa, prima dell’avvento delle linee guida ...

Il mio professore di clinica medica, che si era formato sull'onda lunga del neo-ippocratismo degli anni’30 e ’40 del secolo scorso, soleva dire che la persona intelligente fa il clinico e l'ardimentoso il chirurgo (poi malignamente aggiungeva “e lo sciocco il ginecologo”, ma era questa una celia da clinico). Questo aforisma era comunque abbastanza comune negli ambienti accademici dell’epoca, a sottolineare il ruolo del medico clinico come intellettuale, che tra l'altro era anche la condizione necessaria per poter rivendicare un ruolo sociale di primaria importanza e, possibilmente, uno status economico adeguato.

Quello del riconoscimento di uno status adeguato, spesso coincidente con una scalata dei medici o comunque degli operatori terapeutici verso la sommità della piramide sociale, attraversa tutta la storia della medicina con periodi di alti e bassi, coincidenti in genere con i mutamenti sociali: il periodo d'oro dell'impero romano, le floride società comunali, l'ottocento industriale. Ma anche l'epoca di Pericle, tanto per fare un esempio. In questi periodi storici una certa «società del benessere» ha richiesto, ed era disposta a pagare, dei professionisti in grado di riscuotere una pubblica fiducia e, ovviamente, anche di sapere risolvere un problema di salute o perlomeno di consigliare una via di prevenzione e cura.

Questo ruolo sociale non è mai arrivato senza combattere: pensiamo ad esempio che se alla fine dell’XI secolo Ugo di san Vittore considerava ancora la professione del medico una ars mechanica come quelli del navigatore o del fabbricante di pannilana, il fatto che poco più di un secolo dopo i medici fossero annoverati tra gli esercenti di arti liberali e quindi equiparati ai notai e agli altri intellettuali della società del tempo, non fu dovuto soltanto al mutamento sociale ma anche alla grande idea di alcuni medici salernitani di trasformare l’apprendimento della medicina in un sistema universitario curricolare, simile a quello dei teologi e dei legisti dell’epoca. Oppure nell’800 la rivendicazione da parte dei medici di una medicina scientifica al passo con i mutamenti sociali ed antropologici che li porterà, in Italia e non solo, a rivestire ruoli anche politici di grande importanza e addirittura a plasmare la mentalità sociale di un intero Paese.

Oggi c’è davvero bisogno del medico intelligente? O del chirurgo ardimentoso? O forse c’è bisogno del medico ubbidiente, che segua con cura i protocolli clinico-terapeutici, le linee guida, le “buone pratiche” stabilite dalla letteratura internazionale, dalle società scientifiche e così via, cercando di ottemperare più o meno consciamente a quei protocolli difensivi che ormai qualunque medico di buon senso deve adottare per non soccombere ad una clientela sempre più ostile e ad una magistratura incombente. Tra l’altro i cosiddetti “carichi di lavoro” hanno ridotto quello spazio temporale di relazione medico-paziente che da sempre fa parte dell’iter clinico e che il medico ha sempre considerato importante nel processo di conquista di una “fiducia terapeutica” da parte del medico, che per dottrina (risalente alla medicina di epoca cassica) è anche atto terapeutico tout-court.

Certamente un buon robot (e lo vediamo già adesso) riesce a compiere operazioni chirurgiche di grande precisione, mentre l’occhio intelligente di una rete convoluzionale può battere quello di un radiologo, anche se ora come ora il radiologo esperto ha qualche chance in più (ma è solo questione di tempo). E non è certamente impossibile pensare ad un sistema che possa surrogare quell’intelligenza clinica di cui si parlava all’inizio.

Personalmente, ogni anno, all’inizio della mia prima lezione di storia della medicina ai ragazzi del primo anno di corso, insomma quelli che da grande faranno i medici, i chirurghi (o i ginecologi), li avverto dicendo che starà a loro decidere se farsi o meno sostituire, dopo un cammino lunghissimo di studio e di sacrificio, da una macchina intelligente, o cercare di ragionare già da adesso sul ruolo del medico nella società e sulla funzione del rapporto umano nell’atto clinico-terapeutico. E di combattere costantemente perché questo rapporto sia conservato.

Oppure di decidere di passare da medicina a ingegneria: ora come ora si guadagna molto di più e chissà che alla fine non si riesca a progettare una medicina efficiente ed economica. In fondo è ciò che sogna ogni staff di direzione di qualunque azienda sanitaria.

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