La medusa

Racconto equoreo

A mezzo il giorno, sul Mare etrusco, pallido verdicante come il dissepolto bronzo dagli ipogei, grava la bonaccia. Non bava di vento intorno alita. Un tuffo dalla barca, una breve nuotata, e poi mi godo il silenzio, in acqua, al largo del Golfo di Follonica, prima che si alzi il libeccio pomeridiano a increspare il mare. Non so perché mi è venuta alla mente la poesia dannunziana, ma mi succede spesso, d’estate, quando nuoto in questo mare. Il mio mare. Non è la Bocca di Magra di Alcyone, ma questa costa non è men bella né meno etrusca dell’altra, coi suoi colli di lecci e ulivi e il Monte Amiata alto laggiù, azzurrino. Qui due coste vicine si guardano, ambedue mie: l’una è dell’Elba, che quando l’aria è limpida la puoi quasi toccare. La costa delle mie lunghe estati passate in una piccola casa in campagna, sopra una baia chiusa ai lati da scogli e un tempo tutta di sabbia nera e lucente, ricordo delle miniere di ferro di Rio Marina, che si credevano inesauribili e che il minerale germinasse nell’oscurità delle sue caverne come il seme del grano nella terra fertile. Una sola strada d’accesso alla spiaggetta, all’epoca: quasi un varco nella macchia satura di aromi pungenti di timo e di lentisco, di rosmarino e di ginepro fenicio, che riarsi nel mezzogiorno inebriano come mille incensi d'Oriente. L’altra costa, di fronte. Una lunga striscia di sabbia bianca, all'epoca decorata dagli alti pini marittimi curvi verso la duna ed il padule riarso, con le bisce che fuggivano rapidissime al rumore dei passi. Isola e continente, due mondi diversi e distanti ma uno stesso mare e una stessa estate.

L’estate del ricordo, nei miei anni triestini solitari, la nostalgia mitigata dalla lettura di Alcyone più che dal sole e dai profumi del Quarnaro (ancora D’Annunzio!). Avevo scoperto Gabriele D'Annunzio all'inizio dell'estate del '72 mentre studiavo per l'esame di maturità. Un autore allora un po' negletto, di cui si ricordavano antologicamente alcune poesie, ma che alla fine si liquidava, con un giudizio sostanzialmente negativo, come un frutto dell'estetismo di fine secolo mischiato con il mito della grande guerra. Io, invece, sentii subito la sua poesia come pura musica, le sue parole come giochi armonici e capii proprio allora lo stretto rapporto fra poesia e musica. Scoperta banale, ma non avevo diciotto anni e nessuno me l’aveva mai spiegato. Non avevo frequentato scuole particolarmente “buone" né avevo avuto la fortuna di incontrare insegnanti di lettere che si sollevassero dalla mediocrità. Ma io ero pieno di musica. Di musica che i miei compagni non ascoltavano, di Debussy, Ravel, Stravinskij e poi Puccini, Pizzetti, Dallapiccola. D'Annunzio fu quindi amore a prima vista.

Sto pigramente nuotando, in bocca il sapore di salsedine e negli occhi la costa maremmana appena velata dalla lieve foschia del meriggio. Si insinua nuovamente Alcyone nel mio pensare libero, Undùlna e le sue ali d'alcèdine. Ermione e le còccole aulenti. Improvvisamente, nel silenzio della bonaccia equòrea, mi scontro con una grossa medusa.

Maremmamaiála.

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