La medicina nell'era globale

Riflessioni leggendo il Liber Canonis di Avicenna

Sono qui che sto studiando la febbre pestienziale sul Liber Canonis di Avicenna, ovvero sul libro di testo più importante per la formazione del medico nel basso medioevo e nella prima età moderna. Lettura un po’ difficile ma molto interessante e che doveva essere difficile anche per Gherardo da Cremona, il traduttore (Ibn-Sina, ovvero Avicenna aveva scritto la sua opera monumentale in persiano), che ogni tanto non riesce a capire i termini e li lascia così come sono, per cui poi ti devi scervellare per capire che uccello sia l’alakiki o che farmaco composto sia sia l’algeleniabin. Comunque ogni volta che leggo il Canone, trovo cose di una lucidità e direi di una modernità straordinarie, che magari si rifanno a suggerimenti aristotelici o a intuizioni di Galeno ma metabolizzati in maniera mirabile e attuale, almeno per i tempi di Avicenna, ovvero l’ XI secolo. Ad esempio: i concetti di epidemia e di endemia non sono concetti moderni. I medici medievali se li ricavano dal Canone, e poi ci ragionano sopra, con i loro strumenti, osservando quello che succede nella società in cui vivono.

Sembra un concetto facile, eppure …

Nonostante che in questi ultimi anni, specialmente dopo l’epidemia di Covid-19, gli storici si siano sempre più interessati di epidemie e di stato di salute delle popolazioni storiche, permane solida l’opinione comune che comunque, nel passato, la gente fosse del tutto indifesa verso la malattia, facendo un facile paragone tra la nostra conoscenza medico-biologica e quella di un passato anche relativamente recente. Questo ovviamente non corrisponde a verità, altrimenti non avremmo una medicina che troviamo già in essere, come si dice, sin dall’alba della civiltà umana. Medicina intesa come ars medendi, come arte (magari puramente meccanica, cioè empirica) dedicata al sollievo dalla malattia e dal dolore, spesso con risultati molto soddisfacenti, come ci narrano storie e cronache. Ma anche medicina come preservazione di quello stato di salute che ha avuto varie definizioni nel tempo perché si è dovuta adattare via via alla società che questa definizione ha formulato. Questo è un concetto, a mio parere, molto importante e senza il quale non è possibile capire cosa sia in effetti la medicina: ovvero capire che se da una parte c’è la conoscenza della Natura, che oggi chiamiamo biologia nelle sue varie ramificazioni ed accezioni, ma che prima poteva essere chiamata magia naturale o quel che vi pare, dall’altra sta la medicina tout court, arte pragmatica che tenta di risolvere i problemi sanitari di una particolare società in quel particolare tempo. Una medicina quindi che tenta e sperimenta teorie basandosi però sull’osservazione e la tradizione, magari traendo alla fine conclusioni che possono risultare, nel tempo, sbagliate o inesatte, ma sempre senza rinunciare all’efficacia della pratica medica. Insomma, quando il Nilo esondava, gli egiziani del neolitico e dell’era delle piramidi si ammalavano di ogni genere di parassitosi, per cui non è difficile immaginare come il medico dell’epoca cercasse di capire quello che stava succedendo e suggerire una cura o un qualche genere di prevenzione per quella patologia o magari anche per le patologie traumatiche, che ovviamente sono frequenti in qualunque genere di società ignorando invece, più o meno, le malattie degenerative come l’arteriosclerosi o il cancro, peraltro presenti e documentabili, ma che in una popolazione con una speranza di vita alla nascita piuttosto limitata nel tempo dovevano essere rare e poco influenti. Lo stesso vale, prendiamo il caso, per il XVII secolo della nostra era: siamo in una società molto diversa, che ha a che fare con urbanizzazione e povertà, guerre e carestie, sifilide, peste, vaiolo, morbillo e malattie a contagio orofecale. Lo sforzo dei medici sarà capire cosa succede, ma anche trovare soluzioni, questa volta assieme al potere politico ed esecutivo, per prevenire disastri: non per nulla tra la metà del XIV secolo e il XV secolo, almeno nell’Italia centro-settentrionale (e non altrove) nasce la sanità pubblica. E anche quando nel secolo successivo Harvey avrà confutato la teoria della doppia circolazione, Marcello Malpighi avrà descritto l’alveolo polmonare e le piramidi renali e ancora dopo, con l’elettricità animale di Galvani e Volta o la dimostrazione dell’inesistenza della generazione spontanea, i medici continueranno a curare come sempre hanno imparato a fare, anche perché la medicina non è la somma dell’anatomia e della fisiologia, com’è noto. Anzi, in questo periodo i medici saranno un po’ più confusi dal punto di vista teorico, ma faranno quel che serve, quello che sanno fare: saranno spesso dei Dottor Purgone, come malignava Molière. La rivoluzione industriale poi avrà bisogno di una nuova medicina per una nuova società basata sul lavoro nell’opificio e di famiglie stabili e prolifiche per mantenere la forza lavoro: non per nulla questo è il periodo dello sforzo scientifico verso quella che chiamiamo la medicina moderna, che in fondo serve soprattutto a mantenere sana la forza lavoro. E oggi? Se provate a indossare un paio di occhiali con le lenti che vi ho appena suggerito vedrete come tutto stia cambiando: siamo nell’era della globalizzazione e quindi c’è bisogno di qualcosa di diverso, bisogna affinare le tecniche. Oggi il medico ha qualche problema a stare al passo, specie il medico pubblico, ancorato ad un sistema burocratico – amministrativo di epoca industriale e che adesso non regge più. Infatti medici e infermieri vengono percepiti come inefficaci, vengono insultati e picchiati, talora. E costantemente denunciati, perché ormai esistono bolle narrative a diffusione gobale di salute e tendenza all’immortalità che il medico non ha nel suo bagaglio formativo derivante da un corso universitario che, salvo eccezioni, non gli ha fornito una cultura sufficiente per cercare vie alternative di adeguamento. La medicina diverrà quindi ostaggio definitivo della biologia e dell’informatica? Basterà, come dico ai miei studenti per spaventarli, un biologo e un ingegnere esperto in sistemi intelligenti per fare medicina, ovviamente con la supervisione di un politico, un economista e un magistrato? Oppure la medicina è qualcosa di diverso, una disciplina profondamente antropologica magari suo malgrado (e parlo della medicina postindustriale)?

Vorrei tornare al mio discorso d’inizio. Se crediamo davvero che i nostri antenati si affidassero ad una medicina che agli occhi di molti, anche paludati, storici della medicina era una truffa; se siamo convinti che i nostri antenati non sapessero osservare il mondo che li circondava, magari perché lo guardavano attraverso le lenti della superstizione, magari anche religiosa, come sostiene una certa letteratura che ci ha ammorbato per anni; se crediamo che i nostri antenati pagassero il medico con moneta sonante non perché curava ma perché semplicemente erano dei poveri gonzi, allora è vero: noi di quella medicina non abbiamo bisogno. Adesso siamo scaltri e non ci facciamo fregare … per cui benvenuto il sogno della macchina guaritrice universale, come abbiamo visto nei film di fantascienza. Rapida e veloce. E soprattutto pragmatica. Come la medicina.

Certo, per ora di macchine rapide e veloci del genere ne abbiamo già create un po’, nel tempo, anche se per scopi decisamente diversi: ma possiamo ben sperare in un cambiamento radicale.

 Hanno fatto nella China
    Una macchina a vapore
    Per mandar la guigliottina:
    Questa macchina in tre ore
    Fa la testa a cento mila
                        Messi in fila.

L’istrumento ha fatto chiasso,
    E quei preti han presagito
    Che il paese passo passo
    Sarà presto incivilito:
    Rimarrà come un babbeo
                        L’Europeo.

(Giuseppe Giusti, 1852)

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