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L'incontro
Racconto minimo

Su una strada che pareva dipanarsi all'infinito immersa in una densa foschia lattiginosa, avanzava un uomo avvolto in un cappotto grigio. Il suo passo era lento e fiacco, quasi timoroso. Lontani, ovattati, giungevano suoni a lui familiari di gente indaffarata, di chiasso di bimbi. Poi più nulla.
Fu allora che apparve l’altro. Alto, infagottato in un lungo pastrano nero, sembrava emergere dalla nebbia come un’idea mai del tutto formata. La nebbia attutiva allo sguardo i tratti del suo volto. Parlò, con voce stanca, o forse smorzata dall’aria densa, lentamente. Le sue parole sembrarono scivolare nel silenzio.
«Cerco un luogo che ho perduto. Tu lo conosci?»
L’uomo dal cappotto grigio lo fissò, come si contempla uno specchio opacato dal tempo. Tentò di rispondere, ma non trovò le parole. Poi, con una calma che sapeva di resa, disse:
« La mia casa è un’idea che si dissolve.»
Il loro dialogo fu uno scambio di frammenti, come vetri di vecchi specchi rotti. Intanto, più fitta, la nebbia li avvolse come un labirinto non tracciato, senza uscite né centro.
«Torneremo?» chiese l’uomo in nero, senza alcuna emozione.
«Tornare è impossibile,» replicò inespressivo l’uomo vestito di grigio, quasi che quella risposta fosse l’unica possibile. «La strada indietro conduce solo a ciò che non è più.»
Tacquero a lungo, ognuno avviluppato nei propri pensieri che si confondevano con l’assenza delle cose e dei suoni. Il loro mondo, adesso, era un luogo di assenze, di presenze dissolte, di pensieri formulati e già cancellati.
Decisero di proseguire per quella strada senza direzione né meta, in cui forse si incrociavano infinite strade in infiniti incroci, o forse infiniti orrori erano celati in quella infinita coltre opalescente. Decisero di proseguire accettando che il mondo, da quel punto in avanti, avesse saputo di passi perduti e di nebbie indissolte. Non lasciarono tracce, non portarono memorie. Svanirono, come fanno tutte le cose, verso il punto dove il tempo cessa di esistere.
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