Infami! Da quale scuola sortite mai?

La peste a Costantinopoli e i vaccini

Andando a spulciare nella storia della medicina si incontrano casi singolari, specie nell’età contemporanea, più ricca di documenti. Casi che ti fanno pensare su come esista e sia esistito uno squilibrio nell’accesso ai sistemi di diffusione della scienza, fenomeno che ha radici storiche importanti e che, probabilmente, qualche disastro l’ha sicuramente comportato.

Sto pensando all’acceso alle riviste a diffusione internazionale, problema che è ritornato in auge anche in maniera piuttosto drammatica in questi ultimi anni, quando qualcuno si è finalmente accorto che tutta la produzione scientifica “che conta” è in mano a pochi editori (a parte le riviste predatorie), che ovviamente fanno il bello e il cattivo tempo e indirizzano di fatto la ricerca scientifica secondo principi non del tutto trasparenti e che generalmente riflettono certe politiche di finanziamento o addirittura di ideologia di paesi di lingua anglofona. D’altronde se volete pubblicare qualcosa di importante e che gli altri studiosi leggano (parlo di materie scientifiche) dovete pubblicare in inglese. Se pubblichi l’equivalente della teoria della relatività in una rivista italiana non ti legge nessuno e se sei in carriera accademica puoi stampare il tuo lavoro su carta idonea e accenderci la stufa quando fa freddo perché tanto non te lo conteranno tra i titoli. Per fare un esempio, esistono fior di lavori scientifici scritti in russo che nessuno legge se non quelli che vivevano nell’ex URSS (e non tutti): meno male che c’è DeepL che è abbastanza affidabile, ma ovviamente se citi un lavoro allofono, qualche editore internazionale ti potrebbe fare le pulci, per cui non lo fai.  

Ma veniamo alla storia della medicina. Nell’800 e nei primi del ‘900 in Italia praticano medici geniali, però ancora legati al vecchio sistema dei giornali locali della medicina, delle riviste miscellanee di vecchie o nuove accademie, insomma legati alla propria lingua, che in fondo era la lingua di quei medici che avevano contribuito per secoli a rivoluzionare la medicina stessa. Ma il mondo era cambiato e l’Italia era un paese povero e marginale, ormai. Per cui quando il dottor Vincenzo Tiberio nel 1895 descrisse il potere battericida di alcune muffe anticipando di oltre trent’anni la scoperta della penicillina da parte di Alexander Fleming non se lo filò nessuno. Per cui la penicillina fu utilizzata solo al tempo della seconda guerra mondiale.

Lo stesso vale, quasi un secolo prima, per il dottor Eusebio Valli, medico originario di Ponsacco, nel pisano, primario clinico dell’ospedale di Mantova alla fine del ‘700. Vero sperimentatore, studioso della “elettricità animale” sulla base degli studi di Volta e Galvani, decide con entusiasmo di continuare l’opera di Jenner sulla vaccinazione arrivando a creare un vaccino, per quanto grossolano, contro la rabbia. Ovviamente Pasteur avrà a disposizione, ottant’anni dopo (!) una diversa potenza di fuoco e una differente notorietà per cui il nostro dottor Valli rimarrà praticamente sconosciuto, così come la sua opera. Ma forse vale la pena ricordarlo, se non altro perché dedicò la vita alla causa vaccinale. E quando dico dedicò la vita non sto esprimendo una metafora: nel 1816, all'Avana, al fine di studiarne meglio la febbre gialla e cercare di creare un vaccino,  si auto-iniettò alcuni germi di questa malattia, morendo eroicamente a sessant’anni per le sue idee. Ma non era la prima volta che rischiava la vita.

Nel 1803 scoppia un’epidemia di peste a Costantinopoli. Era la “vecchia” peste nera, che era rimasta endemica nel Mediterraneo Orientale e in Asia minore e che continuerà a imperversare almeno fino al 1815, quando di fatto scomparirà dopo aver mietuto vittime per quasi cinquecento anni. La peste scoppierà ancora nel 1894 a Hong Kong, ma sarà un ceppo diverso di Yersinia Pestis, differente per caratteristiche immunologiche e per manifestazioni cliniche, oltreché dotato di mortalità decisamente molto più bassa, ovvero la peste che conosciamo oggi e che solo da una decina d’anni si è capito (nonostante l’evidenza storica) che è diversa dalla peste del passato e che è legata alla pulce del ratto.

Il dottor Eusebio Valli, appena venuto a sapere che in Turchia c’è la peste, fa le valigie e parte, intenzionato a capire se fosse possibile trovare una terapia e soprattutto creare un vaccino, come era successo nel 1796 per il vaiolo. Arriva a Costantinopoli, dove tra l’altro infuriava anche un’epidemia di vaiolo, e si inocula del siero proveniente da un bubbone pestoso. Si ammala, rimane diverso tempo tra la vita e la morte, sopravvive, e poco tempo dopo si ammala di nuovo, ma questa volta la malattia ha un decorso benigno. Insomma comincia a vedere una possibilità per un vaccino: prepara sieri, chiede alla Autorità di provare il vaccino sui condannati a morte, insomma fa quello che quasi cento anni dopo cercherà di fare Yersin, l’allievo di Pasteur, il quale fallirà non tanto per colpa sua quanto perché il “nuovo” ceppo di peste non dava immunità come il “vecchio”. Però a un’idea di vaccino c’era arrivato, il nostro dottor Valli, rischiando la propria vita, nel 1803. Scriverà anche un libro che leggeranno in pochi. Poi ci sarà la Restaurazione, l’Italia tornerà ad avere un ruolo marginale e la microbiologia nascerà in Francia, la grande potenza.

Però vale la pena leggere il suo libro “Sulla Peste di Costantinopoli del MDCCCIII. Giornale del Dottore Eusebio Valli, Cittadino Fiorentino, Professore di Clinica e Medico Primario dello Civile Spedal di Mantova, presso la Società Tipografica All’Apollo, [Mantova] 1805” (lo potete trovare qui) per capire la mentalità di questi ricercatori tra l’Illuminismo e il movimento Romantico, curiosi e pieni di zelo.

Tra l’altro dicevamo che a Costantinopoli era scoppiata, durante l’esordio della peste, anche un’epidemia di vaiolo, con una grande mortalità. Leggiamo cosa dice il nostro dottor Valli a proposito:

La peste ha fatto tregua in Pera per dar luogo al vajuolo, il quale fa dal suo lato romore e strage. Sembra, che il cielo di Costantinopoli sia grandemente favorevole a quest'ultima malattia, giacché poche pochissime costituzioni epidemiche si rammentano, ov'essa non abbia vendemmiato orribilmente. Pare che dopo così trista esperienza qui più che altrove si sarebbe introdotta, e avrebbe preso piede l'inoculazione della vaccina: ma la faccenda non va così. I ciarlatani, di cui i sobborghi di Bisanzio regurgitano; i medici ignoranti e di mala fede, che non mancano; uomini in fine di pelo e color vario, i quali vegetano e lussureggiano in mezzo all’ozio, hanno screditata la scoperta maggiore del secolo, predicando con isfacciatezza l'eresia, che la vaccina non previene, non difende dal vajuolo - Infami ! Da quale scuola sortite mai; e quali sono gli autori vostri? - La terra è coperta fatalmente di questi pericolosi allarmisti. E perché mai sono eglino tollerati dalla legge? È questo un problema politico; e di politica non so nulla.

Da Therapia li 20 settembre

Valli

 Vi ricorda nulla?

Eusebio Valli

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