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Il medico, il "segno" e le donne
Tra letteratura e medicina nel tardo medioevo

Per quando mi ricordi, non sono mai andato a letto presto. Per me la sera, ma specialmente la notte, è il tempo del silenzio e della tranquillità ed è il momento giusto per studiare o per dedicarsi a letture piacevoli. In queste ultime sere mi sto godendo la lettura di qualche autore dei primi del Cinquecento, più che altro novellatori, anche piuttosto sconosciuti, almeno per me, come Pietro Fortini senese, non dotatissimo emulatore del Boccaccio, oppure un po’ più noti, come il Bandello o il Lasca. Sono letture divertenti, in un italiano talora vernacolare, ma sempre efficace, mai opaco. L’eredità del Boccaccio è sempre molto forte, per taluno quasi totalizzante, il che comporta spesso una certa banalità delle trame, quasi tutte beffe o avventure erotiche: però ogni tanto si rinvengono delle chicche che valgono la fatica di uno scavo - un po’ da archeologo - nella letteratura del passato.
Ieri sera ne ho trovata una, di chicche, che mi ha divertito e mi ha fatto riflettere un po’ sulla storia della medicina e sul “ruolo fisiologico” della donna nella società del tempo. Ovviamente non è un argomento nuovo: specialmente nel basso medioevo e con la nuova medicina universitaria, la società radicalizza in un certo qual modo le differenze sociali, giustificandole dal punto di vista della natura: se il villano Bertoldo muore per non aver potuto mangiare il suo cibo - ovvero rape e fagioli - alla corte del re, il signore, come insegna Michele Savonarola, si deve guardare dalle fave perché indigeste per una complessione signorile ma ottimo cibo per i contadini. Così anche la donna, che essendo palesemente diversa dall’uomo, possiede di conseguenza caratteristiche fisiche e morali proprie che le provengono da una complessione più fredda e umida che non il maschio. Per esempio, la donna è considerata mentalmente più instabile dell’uomo a causa di vapori, che prodotti dall’utero vanno alla testa e sono difficilmente smaltibili, oppure è ritenuta più lussuriosa del maschio anche perché il seme maschile, caldo e umido, avrebbe anche il compito di temperare, insomma correggere la malizia della complessione femminile. Con tutto quello che ne può derivare da un punto di vista delle regole sociali.
Ma torniamo alla mia lettura serale. Si tratta della prima novella delle Cene di Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca, personaggio di tutto rilievo nella letteratura del Cinquecento, farmacista letterato e fondatore, assieme al Salviati, dell’Accademia della Crusca. L’epigrafe della novella rivela subito l’amenità dell’argomento:
“Salvestro Bisdomini, credendosi portare al Maestro l'orina della Moglie ammalata, gli porta quella della Fante sana, e per commessione del Medico, usando seco il matrimonio, guarisce; e alla serva, che bisogno ne haveva, dà marito”.
La trama è divertente e abbastanza originale: Salvestro è un gentiluomo fiorentino con la moglie gravemente ammalata: ha consultato numerosi medici ma senza risultato, per cui decide di rivolgersi al vecchio Maestro Mingo, di cui era compare, un medico mezzo paralizzato dalla gotta che non usciva più di casa, limitandosi a scrivere qualche ricetta “per suo passatempo”. Il vecchio medico, dopo aver ascoltato Salvestro, un po’ per esperienza, un po’ perché le sue condizioni di mobilità erano quelle che erano, tenta di preparare al peggio il giovane ma, visto il suo disperato amore per la donna, ben presto si si rassegna e gli chiede di portargli, la mattina dopo, il “segno”, cioè l’orinale di vetro con dentro l’orina della moglie: vedrà così di che malattia si tratta e se varrà la pena far tutta quella fatica, dolorosa per lui, di andare a visitare la paziente. Salvestro chiederà alla serva di vegliare su sua moglie e di raccogliere durante la notte la sua prima orina: la fantesca, una giovane e robusta contadinotta poco più che ventenne obbedisce, ma poco prima di consegnare l’orinale a Salvestro, la gatta di casa lo rovescia; così per paura di essere mandata via, la fantesca consegna al padrone la sua orina. Ovviamente Maestro Mingo rimane meravigliato, perché l’orina non dà alcun segno di malattia, e chiede a Salvestro “allegando certe sue ragioni, e autorità di Avicenna” di raccogliere di nuovo il segno. Ovviamente l’uomo porterà ancora al medico, inconsapevolmente, l’orina della serva, che non vuole farsi scoprire. Il medico, sempre più meravigliato “assai quella orina guardata, e riguardata, né veggiendo altro dentrovi, che segno di caldezza”, gli chiese da quanto tempo non facesse all’amore con la moglie (usasse il matrimonio), e quando Salvestro gli dice che sono più di due mesi, gli chiede ancora una volta l’orina della moglie e poi, finalmente, formula la diagnosi e ordina la cura:
“Vien quà Salvestro; a te conviene, se brami, come par che tu mostri, la salute di mogliata, usare seco il coito; perciocché altro non veggio in lei di male, se non soverchio di caldezza; né altra via o modo ci è per sanarla, che il congiungersi, a che fare ti conforto, quanto più tosto meglio, sforzandoti di servirla gagliardamente, e se questo non giova, fa conto, che ella sia spacciata”.
Salvestro torna a casa, prepara una cena sostanziosa e si propone alla moglie, che all’inizio appare indignata di come lui possa richiedere quella cosa ad una malata, poi si fa convincere e alla fine fanno all’amore più volte per tutta la notte. Al mattino Salvestro porta alla moglie una confezione, insomma una confettura zuccherata e del vino Trebbiano e lei per la prima volta dopo otto giorni, si mette a mangiare. Insomma, continuando, su consiglio del medico, la terapia, la donna – anche grazie a bei desinari con capponi grassi e vino - “in quattro, o in sei giorni si uscì del letto, e in meno di dieci, ritornò fresca, e colorita, e quanto mai per lo addietro fusse stata sana, e bella”. Ovviamente il medico si mise a scrivere nella sue ricette “che a tutte le malattie delle Donne, che fussero da'sedici infino a' cinquanta anni, quando non si trovasse altro rimedio, e che da'Medici fussero state disfidate, il coito essere atto, e potentissimo a renderle in breve tempo sane”, ma alla fine, con grande divertimento del medico e dei due sposi, l’inganno verrà scoperto e la serva verrà subito data in marito “a un suo lavoratore, da S. Martin la Palma, giovane di prima barba; uno scuriscione, vi sò dire, che le scosse la polvere, e le ritrovò le congiunture”. Perché non rischiasse di ammalarsi, ovviamente, dato che l’orina era sua.

Se lasciamo da parte alcuni luoghi comuni sullo status femminile del racconto (d’altronde siamo agli inizi del ‘500), è interessante come venga inquadrata perfettamente la prassi medica assieme ad alcuni aspetti interessanti della società del tardo medioevo. Vi lascio alcune tracce, che vorrei discutere con voi nei prossimi post. La prima è la frase di Maestro Mingo per preparare Salvestro alla possibile morte della moglie, che va letta al di fuori dell’apparente misoginia:
“perlochè il Maestro dolente disse al compare, che molto gliene incresceva, e che havesse pacienza; perché il dolore della morte delle mogli era come le percosse del gomito, che benché elle dolgano forte, passano via spacciatamente, e che non si sbigottisse, che non glie ne era per mancare”.
La seconda è l’importanza dell’urinoscopia, insomma dell’analisi del “segno”, che serve al medico per orientarsi sulla diagnosi e soprattutto sulla prognosi: “nondimeno arrecami domattina il segno; e se io vedrò di poterle giovare, non mancarò dell'obbligo mio”, cioè andrò a visitare a casa la paziente.
La terza è il valore terapeutico del coito, che secondo i medici andrebbe praticato con costanza subito dopo la fanciullezza della donna. Ricordiamoci che l’orina analizzata da Maestro Mingo è quella di una nubile di “ben” ventidue anni e che, quindi, viene data subito in sposa a un uomo adeguato.
Ci sarebbero altre cose da analizzare, da “l’autorità di Avicenna” alle “ricette” del vecchio medico, che poi non sono altro che trattatelli di medicina “sperimentata” che il medico colto scriveva, secondo un’usanza iniziata alla fine del XIII secolo.
Ma intanto vi lascio al Lasca e alle sue novelle: di questi argomenti parleremo la prossima volta.
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