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Fatta la legge nazionale sull'Intelligenza Artificiale ...

... adesso bisogna fare l'Intelligenza Artificiale

È stata recentemente approvata la legge italiana sull’intelligenza artificiale: l’Italia è oggi il primo Paese in Europa a dotarsi di una normativa organica, che appare, se la si legge senza pregiudizi ideologici, equilibrata, antropocentrica e in buona parte garantista. Particolarmente interessante è la parte che riguarda la sanità, dove il legislatore ha voluto ribadire con chiarezza che il ruolo del medico resta centrale: l’IA non può in alcun modo sostituire il professionista, ma deve esserne uno strumento di supporto. In questo senso, la norma non si limita a dichiarazioni di principio: prevede, ad esempio, che il paziente sia informato sull’uso dell’IA, che l’impiego dei dati sanitari per la ricerca avvenga in modo trasparente e con adeguate tutele, e che venga istituita una piattaforma nazionale integrata con il Fascicolo Sanitario Elettronico, pensata proprio per rafforzare la presa in carico territoriale.

Tutto questo è positivo. Ma, come ha notato qualcuno con una certa malizia, ora che la legge c’è, ci sarebbe bisogno di fare l’IA, perché al di là delle enunciazioni di principio l’Italia è ancora piuttosto indietro rispetto ad altri Paesi europei nello sviluppo concreto di queste tecnologie. Insomma bisogna rimboccarsi le maniche cercando di promuovere e armonizzare gli investimenti, privati e pubblici, sullo sviluppo e sulle applicazioni dell’intelligenza artificiale e non aspettare fideisticamente che qualcuno lo faccia prima o poi perché lo deve fare, come ad esempio le Università, che al momento sono in tutt’altre faccende affaccendate, come ahimé è ormai ben noto a tutti. Ma noi siamo abbastanza ottimisti per cui speriamo per il meglio.

C’è poi il nodo della realtà quotidiana.

Certo, se penso al collega medio messo di fronte all’IA mi viene un po’ da sorridere, ed è un sorriso amaro, dopo oltre quarant’anni di esperienza sanitaria. Non perché il medico non sia potenzialmente capace, ovviamente: mi viene da sorridere perché nella pratica l’alfabetizzazione informatica del medico (e dell’infermiere) “medio” (ma neanche tanto) è decisamente bassina, senza contare che in questo momento i medici “pubblici” sono sottoposti ad uno stress lavorativo veramente notevole, dovuto perlopiù a qualche decennio di “ottimizzazione” e “tagli lineari” in Sanità (perpetrati in gran parte da quelli che oggi si lamentano perché abbiamo una sanità con qualche problema) nonché ad un aumento dei contenziosi associato ad una sensibile perdita di fiducia nella giustizia, per cui i medici (e il personale sanitario in genere) vedono spesso la “novità” come un’altra fregatura voluta (e precipitata) dall’alto. Anche il curriculum universitario obbligatorio di uno studente di medicina si ferma (a parte qualche eccezione) ad un qualche esame di statistica sanitaria, magari svolto dal docente con bonaria pazienza e comprensione, specialmente per quanto riguarda la preparazione finale del candidato. Insomma i problemi attuativi ci sono, e tanti, e non sembra facile, in una situazione come quella della sanità attuale, trovare una soluzione rapida ed efficace e che, tra l’altro, non incrementi il digital divide tra Nord e Sud, che è innegabile ed è un retaggio storico che nessuno ha mai voluto seriamente risolvere.

Una cosa è certa: il problema va risolto perché i vantaggi dell’IA in sanità (e ne ho una qualche, seppur modesta, esperienza) possono essere francamente notevoli a tutti i livelli: dalla ricerca alla diagnostica, all’ottimizzazione dei protocolli e delle risorse, alla scelta della terapia ottimale e così via. E non possiamo ogni volta adottare soluzioni sviluppate da altri (e quindi più costose e per loro natura non ottimizzate alla realtà “sanitaria” peculiare di un’area, di una regione o di una Nazione) perché manca un coordinamento reale nella ricerca e nello sviluppo o perché fiumi di denaro, specie pubblico, vengono elargiti a finanziamento di progetti modesti e magari locali o, ancor peggio, per acquistare consenso politico. Perché l’IA è rete, è collaborazione, è analisi di realtà variegate, è interdisciplinarietà. Insomma, parafrasando Carlo Cattaneo, “noi abbiamo gran bisogno d’allargare il cerchio, e uscir dalle abitudini timide e superstiziose, che rendon fredda e debole” la nostra società. Lo so. È molto difficile, ma non ci sono strade alternative.

Forse bisognerebbe chiederla all’intelligenza artificiale, questa soluzione. Un po’ come siamo ormai abituati a chiedere al navigatore la strada giusta per arrivare a destinazione…

 

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