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Fa veramente caldo
Sembra un luogo comune ma è davvero così

Fa un caldo ottenebrante, e non riesco a scrivere: non sono riuscito, in una settimana, a mettere giù neanche due righe per questa newsletter. Riesco stancamente a leggere davanti al ventilatore, e da giorni la seconda branca del trigemino ogni tanto protesta — anche lei, probabilmente, per il caldo.
Sono anche dovuto uscire di casa, l’altra sera, costretto da un impegno “culturale”: lo spettacolo di danza rinascimentale e armeggio che da più di vent’anni, noi dell’Accademia, offriamo alla popolazione in onore dei santi Pietro e Paolo, patroni della cittadina che ci ospita. Si intitola Con forza e con grazia ed è una cosina gradevole tra danza rinascimentale e duelli con vari tipi di armi bianche, questi ultimi sostenuti da giovanottoni che hanno la ventura di seguire i corsi dell’Accademia in materia.
Fino a qualche anno fa partecipavo anch’io — non alla danza, perché sono del tutto incapace, né come armeggiatore, perché non fa per me, a prescindere dal fatto che non sono certo un giovane ragazzone. Facevo il fine dicitore, declamando frammenti letterari o trattati d’armi. Da due anni a questa parte presento lo spettacolo, con il sollievo di tutti.
Insomma, faceva caldo, fastidiosamente caldo, ed eravamo tutti un po’ deconcentrati. La mia seconda branca trigeminale, intanto, mi aveva messo davvero di cattivo umore. Però dovevo parlare, e così ho iniziato parlando dei due santi, della cultura giudaica e dell’incontro con l’ellenismo (beccatevi questo), e del debito che abbiamo ancora oggi — noi moderni, e specialmente noi italiani — verso queste due culture e la loro sintesi nel Cristianesimo.
Fuori, dalla corte dove si svolgeva lo spettacolo, a una finestra, pendeva triste e trista una bandiera palestinese. Ho rincarato la dose, ricordando l’importanza della comunità ebraica locale (prima che se la spacciassero i tedeschi), sperando che qualcuno del pubblico si scuotesse. Ma nulla. Col quel caldo avrebbero tollerato anche Vannacci che parlasse di jus primae noctis, credendola una reale usanza del Medioevo (come crede davvero).
Disperato, sono passato agli armeggiatori che di lì a poco si sarebbero esibiti, parlando della preparazione costante della nobiltà del Medioevo e del Rinascimento (e non solo) alla guerra, anche attraverso pratiche “spettacolari” come, appunto, l’armeggiare. Ovviamente ho incicciato quel si vis pacem, para bellum che tante parole ha fatto scaturire dalle bocche degli alfieri del Levante politico nostrano, facendo tra l’altro capire — tra le righe — che io sono sostanzialmente d’accordo con Flavio Vegezio Renato, ammesso che quella massima l’abbia davvero scritta lui (è un problema di filologia, non di politica: lo so che molti pensano che sia una frase originale della Meloni, ma così ritorniamo a Vannacci e allo jus primae noctis e poi non ne usciamo più).
Ma niente da fare. Un pubblico fiaccato dal caldo.
E allora va bene — ho pensato — avete vinto.
Ho ringraziato e, a quel punto, mi hanno fatto un applauso caloroso. Una signora, che so essere della segreteria del PD, mi ha fatto i complimenti. Il caldo fa scherzi incredibili.
È caldo. Però io mi ricordo calure eccezionali anche in passato: gente che alla sera, nel mio paese, andava a dormire all’aperto, nel parco comunale, in alto, sotto i pini. Mi ricordo, quando facevo l’università, una notte a Firenze, dopo aver assistito a un’opera di Gian Francesco Malipiero al Comunale, con altri compagni di sventura, a vagare gran parte della notte da un cocomeraio all’altro, in riva d’Arno, con la stessa sensazione che doveva provare un moribondo sul rogo. Però alla fine si resisteva benino, nonostante tutto…
Oddio, è passato del tempo. Si regge fisicamente di meno, coll’andare degli anni: ma in parte è anche stanchezza. Oltre al caldo, ci si mettono anche le notizie dei disastri annunciati, gli imam e i presidenti, le reti televisive che mandano la terza replica di telefilm già visti, le spiagge piene di cani più che di bambini, gli ululati notturni degli sciacalli poco distanti da casa che, assieme ai cinghiali, ti ricordano ogni notte che ti sei ancora una volta scordato di cercare il responsabile delle locali politiche di ripopolamento, con lo scopo di offrirgli un caffè “alla Pisciotta”.
Sì, è stanchezza, che la seconda branca trigeminale inclemente fa diventare cosmica. Una stanchezza leopardiana.
Nel frattempo, nella ganzissima Milano, quell’orrore dell’insegna della Torre Hadid con il logo Generali è collassata. Per il caldo, pare.
Un perfido accenno di allegria mi fa sentire meno caldo.
Non dite nulla: non è colpa mia. Mi disegnano così (i miei geni)…
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