Dan Brown e Dante

E mandare il ghostwriter a studiare la storia?

Stavo pensando a Dante: spesso, a colazione, mi perdo nei miei pensieri. Stavo pensando a Dante e mi è venuto in mente Dan Brown. Bruttino, come accostamento, ma pensavo a Inferno di Ron Howard, basato appunto sull'omonimo romanzo best seller di Dan Brown. Film d’azione anche divertente ma particolarmente sciatto da un punto di vista storico-culturale. D’accordo, è un film americano e quindi bisogna avere compassione. Ma non è questo il punto. Tra l’altro pensavo al professor come si chiama che precipita sfondando il soffitto di Palazzo Vecchio, facendo un volo di diversi metri e atterrando assieme ad una pioggia di tavolame e calcinacci dorati. Una blasfemia insopportabile anche nella finzione più finta, per cui ti aspetteresti che, proprio nel film, il sindaco di Firenze tra una bestemmia e un maremmamaiala prenda a calci quello che rimane del cadavere del professore fino a buttarlo in Arno. E invece no, visto che il Nostro non si fa un graffio. Ma quello che è più divertente, se ci dilettano le cialtronate, è l’incontro del protagonista con il volto di Dante, ovvero con la maschera nasuta del Poeta che è notoriamente un falso ottocentesco (di fatto sappiamo anche chi è l’autore) ma che per Dan Brown è vera, verissima che più vera non si può. Nel senso che Dan Brown non si pone neanche lontanamente il problema dell'origine della cosiddetta maschera Kirkup: ma questo, direte, sta nell'ordine delle cose visto che si parla di Dan Brown, uno che è capace di scrivere leggende menzognere con la stessa menzognera leggerezza con cui Lavrov parla di storia. Interessante come questo celebre autore di bestseller (o la sua redazione o più probabilmente il suo ghostwriter) metta in bocca alla direttrice del museo una sinteticissima descrizione di questo celebre e controverso oggetto, di cui si fanno notare il volto rugoso e soprattutto il naso adunco.

Nel romanzo, la maschera mortuaria di Dante viene annunciata nel capitolo 37:

Marta si voltò verso Sienna e le parlò molto lentamente. «Non so cosa ti abbia detto tuo fratello, ma stiamo per salire al museo per vedere una maschera davvero insolita.»
Sienna spalancò gli occhi. «Cos’è, una di quelle orribili maschere della peste che si indossano a Carnevale?»
«Ci sei andata vicino» disse Marta «ma questa è di un altro genere. Si chiama maschera mortuaria.»
L’esclamazione sorpresa di Langdon fu chiaramente udibile. Marta lo guardò con un’espressione di rimprovero, convinta che stesse facendo un po’ di scena per spaventare la sorella.
«Non dare ascolto a tuo fratello» disse. «Le maschere mortuarie erano una pratica molto comune in passato. Sostanzialmente è il calco in gesso del volto di una persona preso pochi minuti dopo la morte.»
 “La maschera mortuaria.” Langdon sperimentò il primo momento di lucidità da quando aveva ripreso i sensi, quella mattina. “L’Inferno di Dante … guardare attraverso gli occhi della morte. La maschera!”
«Di chi è il volto riprodotto dalla maschera?» chiese Sienna.
Langdon le posò una mano sulla spalla e le rispose con la massima calma possibile. «Di un famoso poeta italiano. Dante Alighieri.»

Maschera Kirkup

 A parte il fatto che credo tutti, a Carnevale, abbiamo prima o poi indossato una “orribile maschera della peste” perché ci eravamo stufati di vestirci da Pulcinella, la pratica molto comune delle maschere mortuarie  era invece abbastanza sporadica tra ‘700 e un po’ più frequente nell’ ‘800 e riguardava generalmente uomini famosi, letterati e scienziati che spesso venivano anche imbalsamati, come Mazzini o Manzoni. La maschera di Dante compare nelle mani del dantista inglese Seymour Kirkup, nel 1830. Guarda caso. Comunque sia, prima del tardo XVIII secolo non abbiamo esempi di calchi facciali, qualora si eccettui il volto di cera di san Bernardino da Siena da porre sul suo cadavere imbalsamato, che comunque è di molto posteriore alla morte di Dante e rientra nell’uso di esporre ai fedeli il corpo “intatto” di un santo o di un beato, usanza che diventerà sempre più frequente a partire dal ‘500.

Ma andiamo per ordine. Nel capitolo successivo Langdon mostra tutta la sua erudizione nel campo delle maschere mortuarie:

«Subito dopo il decesso» stava spiegando lui «il defunto viene sdraiato supino e la sua faccia è cosparsa di olio d’oliva. Poi viene steso sulla pelle uno strato di pasta di gesso fino a ricoprire tutto, compresi bocca, naso e palpebre, dall’attaccatura dei capelli fino al collo. Una volta essiccato, il gesso si stacca facilmente ed è usato come forma in cui viene colato altro gesso liquido che, indurendosi, diventa una copia perfetta, fin nei minimi dettagli, dei lineamenti del defunto. Questa pratica era particolarmente diffusa per commemorare personaggi importanti e uomini di genio. Dante, Shakespeare, Voltaire, Tasso, Keats: per tutti questi è stata realizzata una maschera mortuaria».

E qui sta il problema: le maschere di Dante, di Tasso e di Shakespeare sono dei falsi ottocenteschi. Brown si è invece scordato della maschera mortuaria di Beethoven, quella magari vera.  Ma torniamo a noi. Per Brown qual è il volto di Dante? Intendo il volto vero, visto che non ha dubbi sul fatto che quella sia realmente la maschera funebre di Dante?

«Grazie.» Sienna entrò nello stretto corridoio, si avviò verso la teca e sbirciò dentro. Subito spalancò gli occhi e lanciò uno sguardo smarrito al fratello.
Marta aveva assistito migliaia di volte a quella scena; i visitatori rimanevano spesso impressionati alla vista della maschera: il viso rugoso e inquietante di Dante, il suo naso adunco e gli occhi chiusi.

Dante è ridotto, ancora una volta, ad un volto inquietante dallo sguardo corrucciato e ad un naso adunco, che poi adunco non doveva proprio essere.

L’Italia di Dan Brown? Terra di santi, navigatori e poeti, fra cui uno col naso adunco. Tale Dante Alighieri.

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