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Crashing Out. Ovvero: l’arte furibonda

... per passare “dalla parte del torto”.

“Poi Gesù entrò nel tempio di Dio, ne scacciò tutti coloro che nel tempio vendevano e compravano, e rovesciò le tavole dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombi. E disse loro: «Sta scritto: "La mia casa sarà chiamata casa di orazione", ma voi ne avete fatto un covo di ladroni». Uno scriba presente, guardandolo e scuotendo la testa, con calma, gli disse: “Che modi. Così è passato dalla parte del torto!”. (Pseudo Matteo, 21, 17-15)

 Fortunatamente ci sono gli States a suggerirci parole nuove per indicare certi stati d’animo. Oggi (scusate, ma non sono un grande frequentatore di TikTok e simili) ho scoperto l’esistenza del termine “crashing out”, che pare indicare una sfumatura differente dall’“esplodere”, dal “fare una scenata”, “sbroccare” o “fare un partaccione”, come si dice a seconda della latitudine.

In pratica è sempre la stessa cosa, ma:

  1. è riferita ai giovani e al loro universo semantico, anche se le analogie col lessico (e col peculiare stato d’animo) tradizionale non mancano;

  2. è socialmente un po’ più corretta: sbrocchi ugualmente, ma in maniera in qualche modo giustificata — non tanto dalla gravità della circostanza che ti ha portato a “crashare”, come si dice, quanto dalla tua situazione interiore, che evidentemente ha qualche problema.

Riguardo a quest’ultima affermazione, Vox definisce il crash out come “the unfiltered actions of a person who is angry, anxious, confused, stressed out, or experiencing mental health issues”

Ecco, ci siamo: experiencing mental health issues, ovvero avere problemi di salute mentale. Se ti è venuta un’incazzatura omerica, non è perché c’era da incazzarsi. È perché sei un soggetto fragile, ansioso e confuso. Hai voglia a dire che sei solo incazzato nero e che lo stai dimostrando in modo congruo, con la faccia scura e la voce alta.

Certo, potresti anche essere raffinato, come consigliano certe impeccabili influencer — magari dalle colonne di la Repubblica — che tirano fuori il sempreverde Obama come esempio di imperturbabilità: redarguire senza perdere la calma, tipo “ti vorrei sommessamente far notare che non ritengo cosa corretta da parte tua…”, eccetera.

Sbagliato, secondo me. Perché se lui o lei ti risponde scrollando le spalle “Eh, succede!”, l’alternativa è abbassare la testa, sconfitti, e magari buttarsi giù da un ponte. Oppure passare alla violenza fisica, che — mi dicono le stesse opinioniste — è sempre da aborrire.

“Se lei alzasse la voce passerebbe dalla parte del torto”, mi disse una volta, anzi la prima volta, un tranquillo impiegato del distretto militare di Trieste, dove io servivo da ufficiale nel 1982.

All’inizio non capii. La mia vita, fino a quel momento, si era svolta nella provincialissima Toscana centrale, e non ero abituato ai bizantinismi nordorientali. Per me la ragione era ragione, e il torto era torto. Non è che, se avessi beccato il mio migliore amico a letto con la mia ragazza o qualcuno in procinto di sterminare la mia famiglia e avessi fatto una scenata, sarei passato così, automaticamente, dalla parte del torto!
Poi ho scoperto — a mie spese — che la giusta indignazione, se espressa perdendo un minimo la pazienza, era assolutamente aborrita, specie nella liberissima Trieste. Ho imparato dagli altri: a far finta di niente, magari preparando con calma una bella delazione. Io non l’ho mai fatto, ovviamente. Parlo di preparare una delazione. Ma potrei fare molti esempi a riguardo.
Ho quindi smesso di crashare. Ma non ho migliorato né il mio status né la mia accettabilità sociale.

In compenso mi pago uno psicologo. E piuttosto bravo.

 

 

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