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Concerto per violino e melanzana
Piccole considerazioni sulla musica contemporanea

Domenica di fine maggio. Tempo un po’ incerto e fa un calduccio piacevole. Sbuccio una melanzana ascoltando il concerto per violino di Igor Stravinskij. Con le cuffie, perché qui il vecchio Igor non è gradito, così come non è gradita tutta la musica del Novecento e non sia mai quella del muovo millennio. Musica classica, ovviamente, perché invece la radio è accesa quasi tutto il giorno su Radio 2, e quindi arrivano schifezze sonore d’ogni genere. Suoni e testi. Pardon, parole, perché chiamare testi quelli della neue musik all’italiana fatta di “fra’”, cellulari e cocaina o slang napoletano creativo è un insulto all’intelligenza. Ma per questa musica nessuno a casa fa una piega. Dicono che fa da sottofondo, mica va ascoltata. Il problema è mio che la musica la godo, l’ascolto, la analizzo e quindi per me il sottofondo non esiste.
Qualcuno dirà che anche sbucciare una melanzana può essere un insulto, ma per ora non vi dico nulla di cosa me ne farò, per cui nessuno si indigni. Ormai siete tutti cuochi stellati anche se vi fate ammannire come hummus di ceci una pastetta senz’aglio, neanche foste clorotiche damine settecentesche. Vabbè. Non volevo parlare di questo.
Il concerto di Stravinskij è impegnativo da ascoltare sbucciando una melanzana, diciamocelo con sincerità. Meglio lo Stravinskij neoclassico, magari quello del Pulcinella. La melanzana era già a dadolini nella terrina che io ormai vagavo nei ricordi. Discussioni fra amici (due o al massimo tre che condividessero la passione per la musica) se la musica di Stravinskij fosse veramente “buona” musica. Eravamo adolescenti e ci drogavamo di corali di Bach in uno stanzino senza finestra di un metro e mezzo per due e mezzo, pieno di fumo delle nostre sigarette: in paese era difficile trovare grandi stimoli intellettuali, ma si faceva quello che si poteva. Avevamo ragione e torto. Stravinskij aveva scritto musica bella, molto bella e anche musica piuttosto bruttina. Anche Beethoven ha scritto musica brutta: pensate all’entrata del baritono nell’ultimo movimento della nona sinfonia e di come tratta le voci subito dopo. Vabbè: il genio musicale assoluto è una cazzata romantica: al massimo quel genio era affetto da savantismo. Però Stravinskij era difficile da ascoltare. D’altronde non conoscevamo neanche il Puccini del Tabarro né quello che nel frattempo si era scritto nei cinquant’anni precedenti in Italia. Eravamo negli anni '60, ovvero in piena damnatio memoriae /dei vari Pizzetti, Alfano, Respighi ed altri “fascisti”: per ascoltarli dovevi andare come minimo a Trieste e noi avevamo 16 anni e convinti che Trieste fosse vicina a Trento. Poi a quell’età ho scoperto il Concerto per l’estate di Pizzetti, trasmesso in RAI (incredibile! Ma Pizzetti era morto due o tre giorni prima ed era stato il presidente di Santa Cecilia, e poi in RAI c’erano i democristiani) e ho capito che dovevo fare il musicista. Infatti ho fatto il medico, ma non per colpa mia.
Ma torniamo alla melanzana o al concerto per violino. All’epoca quelli che in paese amavano la musica o erano appassionati d’opera (generalmente verdiana) o si lanciavano ad ascoltare il sinfonismo tedesco, perlomeno chi aveva un buon giradischi. Il mio maestro di musica, a cui devo moltissimo, studiava Dallapiccola e Mascagni, ma scriveva come Perosi. D’altronde veniva dalla Pontificia, e di Perosi era stato allievo. Insomma alla fine degli anni '60 eravamo convinti che la musica “classica” sarebbe stata eterna, seppure con qualche correzione di rotta. Non la pensavamo così solo noi ragazzi ma anche i grandi, nonostante si continuasse a scrivere musica che potevano ascoltare o capire sette o otto persone (me compreso, ma qualche anno dopo, più grande e molto ferrato in teoria musicale e dopo aver letto, ahimè, Adorno). Eravamo convinti che dopo gli esperimenti sarebbe nata una musica più bella e piacevole, piena di contenuti come il Magnificat di Bach. Eravamo stolidi e speranzosi come un dodo, ovviamente. Io avevo cominciato a scrivere cose inascoltabili, a compilare tabelle dodecafoniche e a consumare partiture Suvini Zerboni. Non lo sapevamo, ma nel 1952, ovvero due anni prima che nascessi, dopo 4’ 33” di John Cage la musica classica, quella propugnata dai musicologi che contavano, era morta. Era stata ridotta a silenzio. A non-musica. Poi arrivò i beat, l’underground, lo psichedelico, il punk rock, il metal e così via. Fino alla musica di oggi. E poco importa se si fa ancora musica accademica spacciata come “progressista” (e che sennò?) come succedeva con i luiginono degli anni '60. Ormai la partita è persa. Perché la musica è indispensabile e se lasci un vuoto verrà riempita da altra musica. Un po’ come ha fatto la magistratura con la politica. Quindi oggi abbiamo la musica trap e ci sono fior di musicologi, magari i figli di quelli che sbrodolavano su Algo di Donatoni, che giurano che questa è poesia oltreché musica. I’ p’mme tu pp’tte nella tuta gold. Fra’.
La melanzana si sta appassendo in un filo d’olio e uno spicchio d’aglio. Sale e un poco di pepe e cumino. Oggi polpettine di ceci e melanzane. E polpettine di orata accompagnate da asparagi al limone. Credevate che fossi diventato vegano? No. Per me il veganesimo è una patologia: sono semplicemente a dieta, per cui poche cose buone e grate al palato, ma senza eccessi calorici. Mi manca un po’ il vino, ma pazienza. Lo riservo al sabato sera: un calice abbondante, magari particolare e molto buono. Ho una cantina abbastanza fornita per questo. Ma intanto il concerto per violino è finito. Riprenderemo il discorso un’altra volta.
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