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Ci vuol coraggio ...
Pensierino sulla scuola (e non solo)

Il ministro Valditara, uomo impavido, ha appena cominciato a parlare di riforma dei programmi scolastici che già si alzano da ogni dove voci di dolore. Dato però che manca ancora un testo, sarebbe da sciocchi esprimere opinioni facilmente confutabili.
Che una vera riforma serva è sotto gli occhi di tutti e che il diritto allo studio (vero diritto e vero studio) debba essere reale è un principio che deve essere realmente applicato. Oggi l’accesso scolastico è obbligatorio per tutti, almeno sino ad una certa età, ma se vuoi davvero che tuo figlio o tua figlia studino per il loro futuro, devi spesso integrare, perché ormai il semplice “foglio di carta” è diventato insufficiente, visto che quel che conta nel mondo del lavoro, alla fine, è la preparazione: insomma quanto e come si è studiato. Per cui una parte dell’istruzione è tornata a carico (economico) delle famiglie e quindi la scuola non è più una opportunità paritaria. Poi possiamo far finta di nulla per non tradire ideologie fallimentari sbandierate e ahimè perseguite tenacemente, ma la cosa non cambia.
Pochi giorni fa ho letto un articolo su “Linkiesta” che mi ha indispettito ma che poi ho trovato utile per una piccola riflessione che vorrei condividere.
Innanzitutto, sono consapevole che l’autore sia politicamente schierato e che abbia voluto costruire un titolo ad effetto, ma se il risultato è questo: “Nostalgia canaglia. I rischi dell’educazione passatista e italocentrica nell’era della globalizzazione”, direi che è riuscito solo a mostrare i limiti dell’espressione del suo pensiero. A parte l’uso di orrori lessicali anche se di uso comune (“passatista”, “italocentrica”) e la citazione di una canzonetta della coppia Al Bano – Romina Power che proviene da una serie di vieti e falsi sillogismi (Valditara -> governo di destra -> fascista -> nostalgico -> di una canaglia) è quel “nell’era della globalizzazione” che spicca non solo per la sua banalità, ma perché fa rima con educazione, creando un bisticcio tra un novenario ed un endecasillabo dove proprio non sarebbe richiesto. A meno che non si tratti di un articolo umoristico o al limite satirico, nel qual caso andrebbe bene anche un titolo parolibero. Ma non è questo il caso. Lo so, i titoli si fanno in fretta e servono per far cliccare l’utente. Qui, a suo merito, bisogna dire che il titolo dà una efficace indicazione del contenuto dell’articolo.
Cominciamo col latino, evidentemente pensato nel mondo della globalizzazione, il mondo del “fare”, quello degli alunni “cittadini del mondo” (cioè, in ultima analisi, apolidi):
“Latino facoltativo alle medie: perché no, un piede nel passato utile a tenere un piede nel futuro”.
Lasciamo perdere le virgole. Ma perché il latino ti fa tenere un piede nel passato? Ma soprattutto perché ti farebbe tenere l’altro piede nel futuro? Che senso ha? Tra l’altro il latino oggi è tenuto a vile anche in Vaticano e in ispecie dal Sommo Pontefice: quindi semmai il piede del futuro latinista potrebbe inzaccherarsi di una melma scismatica, per esempio. E poi in un mondo globalizzato perché non studiare il sanscrito o il persiano? Se il nostro giornalista, certamente e sinceramente (voglio sperare) di anima progressista avesse letto qualcosa di Gramsci, avrebbe forse puntualizzato meglio:
Non si impara il latino e il greco per parlare queste lingue, per fare i camerieri o gli interpreti o che so io. Si imparano per conoscere la civiltà dei due popoli, la cui vita si pone come base della cultura mondiale. [Quaderni del Carcere, 4 [XIII], 55].
Già. La cultura mondiale figlia della cultura greco-latina. Una cultura “radioattiva”, come avrebbe detto Popper, contaminante. Giammai! Perché “circoscrivere entro frontiere occidentali ogni approfondimento e conoscenza è un errore, un controsenso. Non servono a nessuno menti sonnambule, tantomeno nostalgie passatiste. Quel che serve è un bagno nella contemporaneità senza lacci, senza limiti. Ciò che siamo è figlio di incesti culturali, di legami partoriti in ogni angolo del mondo. O raccontiamo questa verità o la partita è truccata”.
E qui siamo all’insegnamento della storia che genera “menti sonnambule”: la mia, per esempio e credo anche la vostra, visto che, presumo, non ci siamo immersi, nei nostri anni giovanili seduti sui banchi delle scuole medie nello studio della Cambogia del XII secolo o delle popolazioni centro-nordamericane prima del sorgere della civiltà Pueblo. Abbiamo studiato magari l’epoca di Augusto, i Vespri Siciliani, la Rivoluzione Francese, Garibaldi … per cui davvero sessant’anni dopo siamo a “vagare come sonnambuli nell’era della Globalizzazione”? E poi che la nostra cultura sia frutto di “incesti culturali” e “separazioni partorite” è decisamente troppo anche per un lettore armato dalle migliori intenzioni. Perché incesto? Ci possono essere state osmosi tra culture diverse, come ci sono state. Ma due culture affini, fratello e sorella diremmo, non possono avere fenomeni di osmosi perché ci sarebbe poco o nulla di diverso fra di loro. Che incesto dei miei zebedei! E consultare un vocabolario? Magari online? Forse il termine incesto era più violento, nelle intenzioni dell’autore, un po’ come se il Presidente Mattarella dicesse “cazzo” durante il discorso di fine anno? Non credo. E poi l’ossimoro, secondo me inconsapevole ma stridente di “legami partoriti” è proprio insensato, visto che nel parto il legame fisico tra madre e figlio viene reciso mentre resta il legame spirituale, potentissimo certo, ma che per nulla si instaura durante il parto. Che poi la partita sia truccata, probabilmente è vero, ma dipende di quale partita stiamo parlando, ovviamente. Sarebbe bene che l’autore ce ne desse per lo meno un qualche accenno.
Non vorrei essere pesante o parruccone, ma sono convinto che prima di esprimere idee, qualunque esse siano, bisognerebbe imparare a “parlare”, nel senso che Leopardi dava a questo termine, cioè, mettere insieme un discorso nella nostra lingua:
Né mi pento di aver prima studiato di proposito a parlare, e dopo a pensare, contro quello che gli altri fanno; tanto che se adesso ho qualche cosa da dire, sappia come va detta, e non la metto in serbo, aspettando ch’io abbia imparato a poterla significare. Oltre che la facoltà della parola aiuta incredibilmente la facoltà del pensiero, e le spiana e le accorcia la strada. (Giacomo Leopardi, lettera a Giordani del 20 novembre 1820)
E per far questo vengono in aiuto le materie di scuola, il latino, la storia, l’esercizio della memoria, l’analisi della letteratura di ieri e di oggi, la matematica come astrazione, la filosofia e così via. Perché il loro studio non rende istruiti ma sapienti. E il sapiente, come si sa, può dominare gli astri, anche nel difficile mondo in cui stiamo vivendo. Altro che nostalgia canaglia! La vera canagliata sarebbe impedire che la scuola riprendesse il suo compito di insegnare se non a tutti, almeno a chi desideri essere educato, e con profitto. Certo, una vera riforma sarà una pericolosa camminata in un deserto pieno di carcasse di elefanti, ma bisogna provarci. Non so se il legislatore avrà questo coraggio, ma ce lo auguriamo. Per un mondo migliore.
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