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Che vita è quella di chi non ha vino?
Chiedetelo all'OMS

Il vino che allieta il cuore dell'uomo;
l'olio che fa brillare il suo volto
e il pane che sostiene il suo vigore.
Salmo 103
Il vino è come la vita per gli uomini,
purché tu lo beva con misura.
Che vita è quella di chi non ha vino?
Questo fu creato per la gioia degli uomini.
Siracide, 31
Cinque anni fa venni invitato ad Ankara dalla Società Turca di Medicina Legale per tenere una serie di letture sull’approssimazione forense dei tratti facciali, nell’ambito di una collaborazione personale con una università locale. Alla fine del seminario, il Presidente mi invitò a fare due chiacchiere in libertà nel suo studio e, con un’aria un po’ carbonara (ma per gioco, perché in Turchia si può bere liberamente alcoolici, come la raki o una piacevole birra chiara prodotta a Smirne), tirò fuori da un’ armadietto una bottiglia di vino, due calici e un cavatappi. Mi spiegò che quello era un vino raro, prodotto da una piccola comunità monastica nestoriana, in un villaggio verso il Tigri, nell’area dell’antica città di Marida, oggi Mardin. Un vino rosso, dal colore leggermente scarico, piacevolmente abboccato. Indescrivibile perché decisamente fuori dai canoni del vino “classico” odierno.
La giornata era stata piuttosto intensa: la mattina avevo fatto lezione a oltre duecento tra ragazzi e ragazze della Facoltà di Medicina, che alla fine mi avevano sommerso di domande e poi mi avevano accompagnato a visitare il grandioso mausoleo di Ataturk. Poi la conferenza. Quella sera l’esercito turco, non molto distante dai vigneti di Marida, attaccò il confine siriano con missili e cannoni. Mi ricordo di avere febbrilmente tradotto dal turco con Google i sottotitoli del telegiornale nazionale, una volta in hotel, per capire quello che stava succedendo, mentre familiari e amici mi mandavano messaggi preoccupati, anche se il fronte era a mille chilometri di distanza e nella capitale la vita continuava normalmente come se nulla stesse succedendo. Ma di quella giornata è proprio quel calice che resta nella mia memoria come l’esperienza più interessante: c’era nel sapore, nel profumo di quel vino un qualcosa in più che non il semplice frutto della dedizione di una piccola enclave monastica. C’era storia, ricordo, sapienze lontane nel tempo. C’erano Romani e Bizantini, il prete Nestorio esule con la sua idea eterodossa sulla natura del Cristo, e c’erano anche i sentori di tempi ancora più remoti quando i vasi per bere avevano una grande potenza simbolica grazie al loro contenuto, ovvero quel liquore magico che può portare gioia. O dolore, come a Cristo nell’orto dei Getsemani.
C’era forse l’odore del vino di Shiduri, la taverniera dei confini del mondo, che Gilgamesh incontrò prima di affrontare la traversata delle Acque di Morte, ipostasi di Inanna / Ishtar, la Venere prodiga e infera nello stesso tempo, duplice come il pianeta che può sorgere e tramontare col Sole e che forse adombra gli aspetti sacrali del vino, bevanda duplice e pericolosa come l’affascinante dea sumera e babilonese. Ishtar che muore e risorge, come ci ricorda Paola Corrente in un suo bel saggio, come muore e risorge Dioniso, dio del vino e dell’ebrezza. Come muore e risorge Cristo che, pur portando un messaggio salvifico radicalmente diverso, è anch’egli legato intimamente al vino, da quello di Cana a quello di Gerusalemme.
C’era, nel vino, anche il profumo della tolleranza, in un paese di religione musulmana ma ancora (speriamo a lungo) laico e libero. E di questo me ne resi conto quando chiesi di poter contattare, per telefono, il capo villaggio per chiedergli come poter ottenere qualche bottiglia da portare a casa e poter condividere con gli altri quelle sensazioni. Il capo villaggio si mostrò sinceramente orgoglioso di quel vino e di quella comunità. Non era cristiano, ma la cosa non aveva alcuna importanza. Purtroppo, a causa di una legislazione complessa, l’unica maniera per assaggiare nuovamente quel vino era recarsi di persona al villaggio. Dato che contavo di tornare a breve ad Ankara per studiare del materiale archeologico assieme ai colleghi turchi, mi ripromisi di farmi un viaggio extra ed un soggiorno tra viti e monaci monofisiti. Poi arrivarono l’epidemia e la guerra e non sono più tornato in Turchia. Ma il sapore e il profumo di quel vino restano abbarbicati alla mia memoria.
Come possiamo pensare a un mondo senza vino? A un mondo senza miti, credenze e speranze? In fondo su quel semplice e dirompente questo è il mio sangue abbiamo fondato la nostra storia e la nostra cultura, piantando vigne in terre inospitali in nome di una buona novella. Recuperando Dioniso e Noè, Ishtar e Orione. Un mondo in cui per secoli alchimisti alessandrini, arabi e cristiani hanno cercato di ricavare per distillazione l’essenza del vino fino ad arrivare a quell’ acqua di vita che ancora apprezziamo. Un mondo in cui gli agronomi d’ogni tempo hanno sperimentato, incrociato, concimato le vigne anche con spezie preziose, appassito acini nei graticci e fermentato mosto negli orci e nei tini sognando di arrivare ad ottenere vini salutiferi per il corpo e lo spirito. Un gioco inutile o, anzi, un gioco pericoloso?

Nel gennaio 2023, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato che non esiste una quantità sicura e salutare di consumo di alcool. Questo messaggio ha fatto seguito ad una politica intrapresa negli ultimi anni in cui l’OMS ha considerato il consumo moderato di alcool come una grave emergenza sanitaria pubblica. Ha addirittura pubblicato una “Guida per i giornalisti sulla segnalazione sull’alcol”, pubblicata nell’aprile 2023, per la cui realizzazione sono stati coinvolti anche alcuni professionisti delle comunicazioni affiliati a Movendi International, alla Global Alcohol Policy Alliance, alla NCD Alliance e a Eurocare, dove, tra le altre cose, si afferma che nessuna quantità di alcol è sicura da bere.
Strano, perché The Lancet aveva pubblicato cinque anni prima uno studio prospettico piuttosto esteso, dove si concludeva:
il nostro studio mostra che tra gli attuali bevitori, la soglia per il minor rischio di mortalità per tutte le cause era di circa 100 g a settimana. Per i sottotipi di malattie cardiovascolari diversi dall'infarto del miocardio, non c'erano soglie chiare al di sotto delle quali un minor consumo di alcol smetteva di essere associato a un minor rischio di malattia.
Tra l’altro uno studio altrettanto autorevole ma tutto italiano pubblicato su JAMA aveva dimostrato, alcuni anni prima e su un campione ancora più grande, le proprietà protettive sulla mortalità generale di basse assunzioni di alcool. Ma l’OMS si è basata su un altro studio, anch’esso pubblicato su Lancet, che contraddice tutti i precedenti e che dimostrerebbe che l’alcool è nocivo a qualunque dose, consigliando, di fatto, la sua eradicazione nei consumi. Il condizionale in questo caso è d’obbligo, visto che questo studio non solo è stato criticato nel merito per come è stato condotto il trial clinico ma anche perché non si tratta di uno studio realmente “indipendente” perché è stato finanziato integralmente dalla Fondazione Bill & Melinda Gates, che promuove azioni di salute “globale” ma che non è certamente immune da sospetti lobbystici, come ad esempio la promozione della carne sintetica, prodotta esclusivamente a livello industriale. Tanto è vero che poco tempo dopo è uscito un interessante lavoro, pubblicato sul Journal of Clinical Epidemiology che, prove scientifiche alla mano, accusa l’OMS di dare raccomandazioni ai vari governi su argomenti riguardanti la salute non sostenuti, specialmente per quello che riguarda il cibo, da evidenze scientificamente valide o comunque molto poco robuste. Facciamoci quindi qualche domanda, visto che, tra l’altro, l’OMS è sostenuta da tutti i paesi del mondo, ovvero da una maggioranza formata da paesi dove il vino non viene consumato per motivi culturali o religiosi, compresi quelli in cui vige la Shariʿa, dove la libertà di scelta proprio non esiste. A questo si aggiungano lobby di minoranze proibizioniste occidentali come GiveWell, un’organizzazione no-profit, che ha assegnato una sovvenzione di 15 milioni di dollari all’agenzia di New York Vital Strategies e ai suoi partner, tra cui l’OMS.
Proibire il vino in assoluto in futuro distopico ma “sano” (e industriale sovranazionale)? I bei vigneti delle Langhe coltivati per fare solo uva passa per metterla nel panettone, senza grassi animali e confezionato con farina d’avena, per migliorare l’indice glicemico? Ovviamente un panettone rigorosamente industriale per motivi igienici.
Quando tutto questo sarà realtà, spero di vivere altrove, ospitato assieme ai miei cari in una comunità monastica nascosta agli occhi del mondo per finire i miei giorni curando un piccolo filare di viti, con un caratello di quercia dentro la mia cella per la remissione dei miei peccati.

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