Caravaggio abita qui

Racconto napoletan caravaggesco

È maggio ma il cielo è grigio. Un caldo appiccicoso. Via Duomo, traffico incasinato. Si va a passo d’uomo, clacson, motorini superano a destra e a sinistra. Un posto si libera sul lato opposto, non si sa come ma riusciamo a parcheggiare. Si sale a piedi contro un muro di gente che viene verso di noi e spinti da un fiume di gente che va nella nostra direzione, ma dove corrono? Si gira a destra, Via Tribunali. La ricordavo più larga. Esce un poco di sole pallido, ma non arriva sulla strada, non ce la fa, si ferma in alto. Sulla sinistra siede un uomo con una pancia enorme, addosso al muro inbrattato di scritte, accanto ha una bancarella affollata di carabattole inutili ed infime. Folla di gente e di cose anche qui. Avanti ancora, nuotando fra una umanità miscelata, più di una faccia è assai poco raccomandabile, il rumore di una radiolina e le urla di una madre che insegue un bambino. Passa lentissima una bella ragazza. Si arriva a piazzetta Riario Sforza. È microscopica ma ci sembra enorme. Il Cardinale si è fatto mettere sulla cima di un obelisco altissimo, forse per non sentire il chiasso. Dietro di lui si intravede il fianco destro del Duomo angioino, anche lui altissimo. Un altro urlo ci tira gli occhi di nuovo giù sulla strada. Da un furgone frigorifero un uomo grasso scarica sulla schiena di un altro, incredibilmente magro ed esile, un quarto di manzo da consegnare alla vicina macelleria, gli sportelli aperti del furgone bloccano il passaggio ad un motociclista senza casco che imbufalito impreca un rosario di insulti ai due incuranti garzoni. Uno dei miei amici mi tira per un braccio: “Sta qui, siamo arrivati”. Il Pio Monte della Misericordia. Sull’ingresso della chiesa un gruppetto di studentesse del Fonseca, vestite come hostess, ci circonda e si offre entusiasta di farci da guida, “pure in inglese!” dice ridendo una di loro. È il Maggio dei Monumenti, ma no grazie, noi facciamo da soli. Si entra. Silenzio assordante. Eccolo, là… Caravaggio, “Le sette opere di misericordia”, commissionato nel 1606. Ha il ritmo serrato della strada che abbiamo appena lasciato. La luce scolpisce le figure da sinistra e dal basso. In alto un angelo alato che sorregge un giovane che sta per cadere giù, forse un altro angelo che però ha perso le ali. Sembrano lottare per non cadere sulle miserie umane sottostanti, ma invece cadono, cadono giù sotto lo sguardo di una donna e di un bambino che accenna un dolce sorriso. A sinistra sotto, un uomo beve da una mascella d’asino, che strano. Davanti a lui un pellegrino chiede e riceve l’indicazione per un alloggio, per terra al centro un uomo nudo di spalle a cui viene offerto il mantello rosso da un giovane elegante, forse un cavaliere spagnolo, armato di spada. Ma forse non è un dono, glielo sta strappando di dosso. A destra dietro, due figure trasportano fuori da una casa un cadavere, di cui si vedono solo i piedi, lo hanno avvolto in un lenzuolo e uno fa luce con una torcia. In primo piano sulla destra quello che forse è un simbolo alchemico: una giovane popolana, sorpresa dalla luce che, come il vento, le sbatte sul viso dal lato opposto. Offre il suo seno alla bocca di un vecchio che sporge la testa tra le sbarre di un carcere. È il ‘latte virginale’? il simbolo mercuriale di unione di ‘sole’ e ‘luna’. Per gli alchimisti era il latte dell’eterna giovinezza, l’elisir di vita eterna per fuggire alla morte. Per quel vecchio è la fuga dall’orrore e dalla miseria. E il bambino in alto sorride…

Si esce, storditi, ammutoliti sulla strada. Il chiasso rapidamente ci avvolge di nuovo, i garzoni ora trasportano in due un altro grosso pezzo da macellare, avvolto in un cencio discutibilmente pulito. Dietro di loro un altro motociclista bestemmia. Due turisti olandesi mi chiedono indicazioni per arrivare alla stazione. Lo stesso bambino che prima correva ora è strattonato dalla madre che lo trascina via per un polso. Ci guarda e sorride, pure lui…

Caravaggio abita qui, a via Tribunali.

Paolo Ghiara

Nato da genitori toscani a Napoli, lì ha studiato da speziale e anche da musicante (flauto e violino). Trapiantato a Siena quarant’anni fa, vi ha fatto il ricercatore immunofarmacologo prima e lo speziale dopo. Ritiratosi poi da ogni attività lavorativa si è potuto dedicare alla Storia della Spezieria senese facendo anche qualche scoperta degna di essere pubblicata. Come fedele praticante della musica, in passato ha suonato quella medievale con la viella e altro insieme anche all’amico di una vita Fabio Cavalli. Di recente suona invece musica più moderna col flauto traverso in una orchestra locale. Ha un piccolo giardino e due cani che lo prendono molto sul serio su tutto quello che fa. Ogni tanto, per non perdere il senso della vita, torna a Napoli con la scusa di curiosare fra i manoscritti di spezieria, ma in realtà per riscoprire con gli amici angoli e momenti antichi della città e mangiare pastiere e sfogliatelle. 

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