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Antico presente
Un viaggio nel sacro italico (e nella fatica della lettura)

Ho tra le mani un libro curioso, pubblicato recentemente da Baldini+Castoldi, dal titolo “Antico presente – Viaggio nel sacro vivente”, di Alessandro Giuli, noto ai più come attuale Ministro della Cultura. Prefazione di Andrea Carandini, uno dei maggiori archeologi italiani, intellettuale dai vasti interessi e già presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali.
Lo so, sembra strano parlare più del prefatore che dell’autore, ma di Alessandro Giuli è stato scritto molto da quando è stato scelto per succedere al ministro Sangiuliano. Per cui, da una parte rimando — per ulteriori informazioni — al tritacarne mediatico; dall’altra devo dire che, alla fine, la parte più interessante del libro mi è sembrata proprio la prefazione.
Devo confessare, peraltro, che del libro sono arrivato a pagina 108 e poi mi sono fermato davanti al titolo del capitolo “Il demone delle macerie nell’ombelico d’Italia”, perché il mio cervello ha detto: “Oh no, anche basta così”. E l’ho chiuso (è ancora sul comodino). Per svagarmi, mi sono messo a leggere due o tre paginette di Hilarotragoedia di Giorgio Manganelli, che è sì un complicatissimo gioco retorico sul nulla, ma per lo meno l’autore non se la tira.
Dicevo della prefazione. Io non sono certo un lettore accanito di saggi, ma è la prima volta che mi capita di leggere un libro in cui la prefazione è fermamente critica rispetto al testo, scritta e argomentata come un piccolo saggio e, al contempo, recensione e — non ultimo — proclama tutto politico: da magister a minister (così Carandini stesso), evidenziando le differenze ideologiche tra prefatore e autore.
Va detto che Carandini non è nuovo a questo genere di cose: se avete letto il suo bellissimo (e leggibilissimo) saggio Su questa pietra. Gesù, Pietro e la nascita della Chiesa, edito da Laterza due anni fa, avrete senz’altro notato — con sorpresa — il panegirico finale su papa Bergoglio, indicato come grande riformatore e come colui che potrebbe recuperare l’autentico spirito pietrino (antipapale). Mi immagino la sua delusione quando Leone XIV si è presentato sul balcone con mozzetta e rocchetto, e ha fatto “rinfrescare” le sue stanze in Vaticano.
Riguardo all’opera di Alessandro Giuli, sarei ingiusto se dicessi che è priva di interesse. Un saggio sul sacro italico — o meglio latino — non è da disprezzare: gli spunti possono essere molteplici anche per un lettore non aduso alla storia delle religioni. Però, signori miei, che fatica!
Sarà che ho in uggia i neopagani, i neopitagorici, gli iniziati a religioni misteriche senza mistero, e così via, per cui non riesco a essere imparziale.
Giuli avrebbe anche una scrittura piacevole, se non fosse che vuole essere costantemente sopra le righe, per cui passi come questo (preso a caso) sono disseminati lungo un tortuoso percorso di luoghi fisici e mentali:
Quelle corrispondenze tra macrocosmo e microcosmo cui le tradizioni magiche hanno associato il simbolo del Pentagramma; luogo fisico ove l’uomo integrale partecipa alle energie cosmiche e si fa costruttore di ponti metafisici (pontifex), secondo l’insegnamento pratico che il pitagorico Domenico Angherà riassunse in una frase sola: “Il Geometra dimostra, non declama”.
Esticazzi! — direte voi, quale apotropaica esclamazione.
Comunque sia, la visione di Giuli sul sacro e sulla latinità risente più di Evola che di Sabbatucci o Brelich — tanto per citare studiosi che condividevano più o meno le stesse ideologie, pur modulandole in modo diverso — per cui ci sarebbe molto da discettare sull’idea giuliana del “genio italico”.
Ma questa è una newsletter fatta per annoiarvi un po’, non per uccidervi con discussioni francamente noiose. Se vi interessano, potete leggervi la prefazione di Carandini (ancora lui!) e compulsare la bibliografia.
Però vi racconto un aneddoto personale.
Per circa trentacinque anni ho fatto il pendolare: prendevo, al mattino, il treno alle sette meno dieci e avevo trentacinque minuti tutti per me, per leggere o studiare.
Un giorno stavo leggendo L’esoterismo di Dante di René Guénon, devo dire un po’ annoiato, quando alla stazione di Monfalcone sale un tizio, mi si siede davanti e osserva la copertina del libro.
Mi guarda con attenzione e, dopo una breve esitazione, mi chiede a voce bassa:
– Mi scusi se la interrompo. Lei è un iniziato?
Gli ho dedicato, con pazienza, i venti minuti da Monfalcone a Trieste, spiegandogli che stavo studiando quel saggio perché avevo da fare una conferenza, e che non ero iniziato a nulla. Ovviamente non mi ha creduto: le società segrete, sennò, che sarebbero segrete a fare?
Colpa mia: l’edizione di quel saggio di Guénon non era quella classica di Adelphi, ma quella pubblicata dalla casa editrice Atanòr…
Da allora ho foderato di carta le copertine dei libri che leggevo in treno.
Non si sa mai che mi fossi messo a leggere L’Anti-Justine di Restif de La Bretonne: sarebbe senz’altro salito qualcuno a Monfalcone per chiedermi, a bassa voce:
– Mi scusi, ma lei è un porcellone ossessivo?
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